«Mi dispiace che Manuel De Sica esca dalle sue competenze musicali per toccare un terreno non suo». «Prima di parlare, bisognerebbe aver visto le cose. E poi nessuno ha il diritto di venire a sindacare le mie scelte». Secche repliche a dure accuse. Se le aspettavano, ed erano pronti a ribattere; ma certo le aspre critiche che Manuel De Sica ha mosso dalle pagine del Giornale a Il generale Della Rovere - temerario rifacimento dell’omonimo capolavoro del ’59 diretto da Roberto Rossellini e interpretato da Vittorio De Sica - hanno visibilmente urtato Angelo Rizzoli e Carlo Carlei, produttore e regista della fiction che (come l’originale tratto da un articolo di Indro Montanelli) affida a Pierfrancesco Favino, domani e lunedì su Raiuno, la stessa storia del truffatore che si finge eroe fino a diventarlo davvero. «Mai pensato di competere con De Sica: sarei un suicida - mette le mani avanti Favino - solo che De Sica fa parte del Dna di qualsiasi attore italiano e interpretare un suo personaggio lo ritengo un privilegio». Dallo scomodo paragone il direttore di Rai Fiction, Del Noce, tenta di smarcarsi con un depistaggio letterario: «Questa fiction non è un semplice remake. Ma un omaggio al romanzo di Montanelli. Ed essendo più lunga del film contiene tanti fatti che nella pellicola originale non c’erano».
«Da Guerra e pace o Anna Karenina è stato tratto un solo film?», insiste Rizzoli. Ma è una difesa generica: non solo perché Il generale Della Rovere è celebre come film, e non come romanzo. Ma soprattutto perché non è il romanzo di Montanelli ad aver generato il film di Rossellini, bensì il contrario: «Il soggetto fu ispirato da un articolo di Montanelli, pubblicato sul Corriere - testimonia Sergio Amidei, sceneggiatore della pellicola - e solo dopo Montanelli pubblicò il romanzo, riprendendolo pari pari dalla sceneggiatura». E difatti agli autori della discussa fiction il precedente si ripresenta di continuo, ingombrante e inesorabile: «L’ho visto e rivisto - sospira Favino -, ma non l’ho copiato. Certo: in qualcosa l’ho citato. Ma se avessi saputo di commettere un delitto di lesa maestà, non avrei mai accettato di rifarlo. E poi, sia detto con rispetto: forse la memoria dei padri bisognerebbe anche scrollarsela di dosso. Aumenterebbe la creatività dei figli».
«Il pubblico che ha visto al cinema Il generale Della Rovere nel 1959 ormai si è esaurito» fa notare Rizzoli. «L’originale purtroppo appartiene al paradiso dei cinefili - decreta Carlei -, la nostra fiction, invece, si rivolge al pubblico della prima serata di Raiuno. Quello è del ’59, in bianco e nero, girato in cinque settimane, tutto in studio. Il nostro è del 2011, a colori, girato in molte location. Insomma: ha un linguaggio più moderno». E che le differenze tra le due opere saltino agli occhi, non è in dubbio. L’originale segue lo stile secco e quasi gelido del padre del Neorealismo; il rifacimento ha una voluta, insistita enfasi melodrammatica. Come nell’interminabile sequenza della fucilazione, che alterna continui rallenty a effettoni macabri (gli schizzi di sangue del protagonista sull’obbiettivo) concludendo con una bimba in lacrime che depone una rosa bianca sulla bara.
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