Ma Ankara non vuol cedere su Cipro

Il ministro degli Esteri Gül ammette ritardi sulle riforme: «Però rispetteremo le scadenze». Posizione irremovibile invece sull’isola divisa

Marta Ottaviani

La Turchia fa il mea culpa, ma su Cipro non cede. Mentre ieri a Bruxelles la Commissione europea rendeva noto un rapporto molto critico nei confronti dei progressi fatti dal Paese della Mezzaluna per entrare nell'Unione europea, Ankara correva ai ripari stilando un «contro-rapporto». La notizia è circolata negli ambienti vicini all'esecutivo, ed è stata riportata da alcuni media turchi e internazionali.
Nel documento il governo ammette il rallentamento nel cammino delle riforme nel Paese, soprattutto per quanto riguarda la sfera dei diritti umani e della libertà di espressione. La Turchia dichiara di volersi impegnare maggiormente per riuscire a soddisfare gli standard indicati da Bruxelles e chiede di non interrompere le trattative.
Un gesto importante, ma stando alle indiscrezioni trapelate fino a questo momento, nel rapporto non si fa accenno alla questione Cipro, che poi è il motivo principale del cartellino giallo tirato fuori ieri dall'Unione europea. Anzi, ieri in serata è arrivata la dimostrazione che l'esecutivo di Ankara sulla questione dell'isola spaccata in due da oltre trent'anni non è disposto a trattare.
In un comunicato della presidenza del Consiglio, la questione Cipro viene definita un «problema politico» che non ha nulla a che vedere con i parametri richiesti da Bruxelles per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.
Un gesto a sorpresa, che ribadisce le posizioni espresse seppur in modo più conciliante, ieri pomeriggio dal ministro degli Esteri Abdullah Gül, che ha partecipato al forum italo-turco a Roma. Ribadendo il mea culpa del contro-rapporto, Gül ha dichiarato: «Le carenze ci sono e lo sappiamo, ma vogliamo rispettare tutti i criteri mancanti». Arrivati al capitolo Cipro il capo della diplomazia turca ha detto: «L’Europa deve mantenere le promesse sull’embargo. Noi siamo costruttivi, ma i passi avanti devono farli tutti». E per essere più convincente ha sottolineato il ruolo chiave di mediazione che solo la Turchia può ricoprire all’interno del panorama europeo.
La strategia turca ormai sembra chiara. Se sui diritti umani e la libertà di espressione la Turchia è disposta a mettersi in discussione, su Cipro non si tratta. Quello che il Paese della Mezzaluna dovrebbe fare è aprire i suoi scali aerei e marittimi alle navi che provengono dalla parte greca dell'isola. L’Unione europea insiste su questo punto perché il governo turco ha sottoscritto il protocollo per l'unione doganale e la libera circolazione delle merce, firmato per ironia della sorte ad Ankara nel 2005. Peccato che l'esecutivo di orientamento islamico-moderato non voglia rispettare gli accordi perché aprire gli scali alla parte greca di Cipro equivarrebbe al suo riconoscimento ufficiale, cosa che Erdogan ha più volte definito inaccettabile.
La Finlandia ha cercato di mediare fra le diverse posizioni, tentando di organizzare un tavolo speciale di confronto, che era previsto per domenica scorsa, ma saltato.

Quello che il governo Erdogan sta cercando di ottenere, in cambio dell'apertura doganale, è la fine dell'embargo nei confronti della parte turcofona dell'isola, conquistata dopo l'invasione del 1974 e riconosciuta a livello internazionale solo dal governo di Ankara.

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