Aristide Sartorio il grande «minore»

La critica lo ha relegato a lungo nel novero dei «pittori dell’Italietta». Ora una mostra romana riscopre la versatilità di un artista potente e visionario, fra verismo e simbolismo

Il Dart-Chiostro del Bramante di Roma sta svolgendo da alcuni anni un’importante riscoperta di artisti che una critica inconsapevole o faziosa aveva sottovalutato o addirittura cancellato. Ora è la volta di Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), considerato per troppo tempo un pittore minore, il cantore di un’«Italietta» di cui si voleva conservare un’immagine del tutto negativa. D’altra parte Sartorio era identificato quasi esclusivamente nell’autore del Fregio del nostro Parlamento, riprodotto più spesso nei libri di storia che nei manuali di arte figurativa.
La mostra ci dà finalmente un’immagine di Sartorio diversa, quella di un pittore di livello europeo per talento, originalità d’invenzione e cultura. Gabriele D’Annunzio, di solito severo nei suoi giudizi, lo definì: «Unico e grande per l’eccesso di lavoro, per passione di bellezza, per impazienza di creazione». Un giudizio che le 160 opere esposte, molte per la prima volta, confermano pienamente. Il curatore Renato Miracco ha avuto, infatti, il merito di proporci tutte le fasi della creatività di Sartorio, artista completo e interdisciplinare, punto di unione e di confronto con vari movimenti pittorici, pronto sempre a mettersi in discussione. Un vero protagonista dell’arte figurativa europea fra Ottocento e Novecento, di rara versatilità, in grado di passare dal verismo al simbolismo per approdare, negli ultimi anni, a uno sperimentalismo stupefacente in un uomo nato nel 1860. Miracco, nel ricco catalogo edito da Maschietto-Mandragora che raccoglie ben 25 contributi, sottolinea «la sua curiosità del cambiamento» e aggiunge che «le sue conquiste sono quelle a cui molti pittori faranno riferimento nel secolo a venire».
Le opere in mostra, divise in una decina di sezioni, testimoniano la sua continua evoluzione e la sua appassionata ricerca di una pittura che si affrancasse dai canoni ottocenteschi. Se Malaria del 1883 risente del verismo dell’epoca, mediato peraltro da Caravaggio e da Ribera, i frammenti de I figli di Caino ci propongono un artista già originale, non a caso premiato, ex-aequo con Segantini, all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Importante è per lui il rapporto con D’Annunzio e con Cronaca bizantina, ma anche con Michetti e con personalità del livello di Gegè Primoli, Diego Angeli e Angelo Conti. Sono loro, infatti, prima del viaggio in Inghilterra, a fargli conoscere la pittura preraffaellita. Opere come Pro-patria, Allegoria, Dante e Beatrice, Madonna degli Angeli, pur così suggestionate da Dante Rossetti e da Burne-Jones, non cancellano il Sartorio visionario e fantastico. Gli studi preparatori e i bozzetti de La Gorgone e gli Eroi e di Diana d’Efeso e gli schiavi, dipinti a Weimar dove era stato chiamato a insegnare, rivelano una certa influenza dell’arte tedesca, ma anche un recupero di quel michelangiolismo che era stato un suo fondamentale punto di riferimento.
Il Sartorio attratto dalla grande decorazione è presente con frammenti, bozzetti e studi per il Fregio di Saint Louis, per il Fregio della Sala del Lazio all’Esposizione di Belle Arti e naturalmente per il Fregio del Parlamento. Ci emozionano assai di più i paesaggi, che coprono un lungo arco della sua creatività, dalle vedute di Roma degli anni Novanta e della campagna romana fino al ciclo di Fregene degli anni Venti. Il curatore sottolinea che «il paesaggio in Sartorio diventa una forma spirituale che fonde visione e creatività, perché ogni opera crea un paesaggio ideale dentro di noi e si può dire che ogni forma di paesaggio in Sartorio è specchio del mondo riflesso degli dei».
Questa rassegna, così ricca di scoperte, ci dà anche i sorprendenti quadri della guerra, che hanno come punto di partenza le fotografie, e alcune opere dell’ultima fase dell’artista il quale, in Lavoratori del mare, sembra anticipare la pittura espressionista americana. Nel 1922, dieci anni prima della morte, in un suo libro, Flores et humus.

Conversazioni d’arte, Sartorio aveva scritto: «Noi viviamo nei sensi: oltre i sensi sta il buio insondabile, e l’arte che raffigura i sensi è la migliore esortatrice della vita, la fa tollerare ed amare o, per dirla con una modernissima frase, l’arte rende la vita degna d’essere vissuta».
LA MOSTRA
Giulio Aristide Sartorio 1860-1932.
Roma, Chiostro
del Bramante. Fino all’11 giugno.

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