Un paesino del Maine ameno, tranquillo e all’apparenza uguale a tanti altri. Un bel porto di pescherecci, gente rude con i camicioni a quadri e l’aria bonaria, il mercatino per i turisti con le mele caramellate e i prodotti coltivati in loco (il turista ha sempre ragione). Eppure non appena si gratta sotto la vernice dell’apparenza, levigata come una cartolina della proloco, si incontra il marcio, le tracce di un male antico che si è preso il gusto e il tempo di imputridire: spuntano morti irrisolte, maledizioni, oscuri presagi, presenze cupe e paranormali...
Vi sembra un’atmosfera familiare, state già per premere il pulsante e dare la risposta tipo: stiamo parlando di It o di Le notti di Salem? Fuochino. Stiamo parlando di una serie tv che si chiama Haven e va in onda tutti i lunedì alle 21 su Steel (canale che fa parte del pacchetto digitale terrestre di Mediaset premium). Eppure porta proprio l’imprimatur del re dell’horror, Stephen King. La trama, infatti, si dipana a partire da una delle opere a cui lo scrittore di Bangor è più affezionato, il romanzo breve The Colorado Kid, forse il romanzo che incarna meglio uno dei suoi aforismi: «Sono sempre stato più interessato alle persone che ai mostri». A essere sinceri i punti di contatto tra la sceneggiatura di Haven e di Colorado Kid sono profondi ma meno di quanto possa sembrare. In entrambi i casi una giovane donna arriva in una comunità ristretta ed isolata e indagando su tutt’altro si imbatte su un’articolo di giornale che riguarda un vecchio omicidio, quello di Colorado Kid, appunto. E a partire da questo delitto del passato si dipana un mistero irrisolvibile, un effetto domino che porta verso l’irrealtà. Nel libro prendendo la strada del thriller e quasi della riflessione letteraria, nel telefilm puntando più sui temi classici dell’horror e dovendo mantenere la paura e la tensione per tredici puntate (e il numero in America è già tutto un programma).
Ad essere resa bene però è più che altro l’atmosfera sospesa tipica dei romanzi di King, il quotidiano che si trasforma rapidamente ed impercettibilmente in orrore. E così anche se l’agente dell’FBI Audrey Parker (interpretata dalla biondissima Emily Rose) è una specie di crasi tra Mulder e Scully della storica fiction Xfile, e se le citazioni di genere non mancano, la serie scorre via bene. Anzi per gli esperti di King diventa un vero e proprio gioco andarsi a pescare le citazioni più o meno evidenti sparpagliate per ogni dove: con occhio fino potrete localizzare nei nomi dei personaggi, negli oggetti e nei dialoghi rimandi a Shining, A volte ritornano, L’ombra dello scorpione, Pet Cimetery... e via dicendo. Tanto per citare uno dei più evidenti è che ad un certo punto nelle mani dell’Agente Parker spunta addirittura un romanzo intitolato Misery Unchained. Ma, sciarade a parte, ogni episodio ha una sua fisionomia orrorifica -ci sono invecchiamenti precoci, animali assassini, poteri paranormali, uomini oscuri, società segrete, misteriose rivolte in manicomio dove i sani diventano pazzi e i pazzi tornano sani- ma resta sempre sotto traccia il mistero primigenio della morte di Colorado Kid. Tutto alla fine si ricompone attorno ad un nucleo di male antico e che gli abitanti del piccolo borgo avevano cercato inutilmente di occultare, anche a se stessi. Insomma la cittadina di Haven assomiglia in bello alla Derry di It dove tutti, infondo, sanno e nessuno parla. Come dice uno dei protagonisti della serie Eric Balfour (interpreta un contrabbandiere che si scoprirà non essere poi così cattivo): "Mentre la città è travolta dai fenomeni paranormali la gente non è stupita, hanno sempre saputo, se mai sono stupiti che stia proprio ricapitando in quel momento. Che il segreto stia tornando in superficie". E su questo le citazioni colte sulla banalità e normalità del male potrebbero sprecarsi... Però non è il caso di inquinare con filosofismi lo spazio mitico della fiction sviluppata da Sam Ernst e Jim Dunn, due che sono riusciti a lavorare sul plot inventato da King senza farsi tremare troppo i polsi.
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