RomaÈ solo il primo passo, di un percorso lungo e impervio. Forse lultimo, secondo i finiani - diciamo così - più pessimisti, quelli che puntano lindice sulle casse vuote. Perché «senza risorse certe - sinterrogano - come si riuscirà a completare la riforma?». Ma tantè. La Lega esulta, brinda, per il disco verde della Bicamerale per il federalismo (lIdv vota sì, come la maggioranza, no invece da parte di Api e Udc, non si pronuncia il Pd) al primo decreto attuativo della legge delega. Quello che trasferisce alle autonomie locali parte del demanio pubblico, che oggi finirà in tutta fretta sul tavolo del Consiglio dei ministri (i tempi sono piuttosto stretti, dal momento che la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, pena lo scadere della delega, è prevista entro il 21 maggio, cioè domani).
È pure visibilmente «soddisfatto» il ministro per le Riforme, Umberto Bossi, lesto a seguire passo passo i lavori, in veste anche di leader di un partito che incassa unaltra vittoria storica, grazie ad una pressante opera di mediazione con lopposizione. Poco importa infatti, al Carroccio, che il Pd si sia astenuto: «La sinistra è stata sempre collaborativa, sarebbe stato meglio se avessero votato a favore, ma va comunque bene». Ciò che conta, per il Senatùr, è il risultato finale: «Il federalismo è partito e abbiamo raggiunto la prima tappa importante». E in futuro, cosa accadrà? «Cominciamo a goderci il presente».
Se la godeva già, qualche ora prima, il titolare alla Semplificazione, a Montecitorio per partecipare ad una conferenza stampa congiunta con il leader dellIdv. Lo scopo? Ribadire il «punto dincontro» trovato fra i due partiti. «Il nostro - rimarca Antonio Di Pietro - si assume la responsabilità delle proprie decisioni e dice sì, al termine di un lavoro condotto senza contrapposizioni preconcette, perché con questa riforma il Paese avrà dei vantaggi e non certo dei costi aggiuntivi. Chi invece si astiene - sottolinea lex pm, punzecchiando a dovere il Pd - dimostra di non essere né carne né pesce».
E ancora: «Noi riconosciamo al ministro Calderoli di aver portato non un provvedimento chiuso, ma una bozza da scrivere insieme, e questo decreto è frutto di un lavoro comune». Ma sia chiaro: «LIdv non intende in alcun modo trasgredire al mandato elettorale, siamo e restiamo allopposizione. Non abbiamo nulla a che spartire con questo governo e lo si vedrà davanti alla manovra economica. Le regole però si scrivono insieme e ci dispiace che altri, dopo aver contribuito a creare un buono strumento, non abbiano il coraggio di assumersene la responsabilità». Al contrario, «Idv e Lega sanno agire sui temi concreti...».
Già, intestandosi, da una parte e dallaltra della barricata, lesito positivo del passaggio parlamentare. Non a caso, sia in casa Pdl che Pd, non mancano i mugugni. Bossi e Di Pietro «si imitano» e «noi veniamo messi fuori», ammettono con fastidio i pidiellini, dove lamentano: «La Lega corre, dovremmo fare altrettanto». Chiara presa datto, nonostante Enrico La Loggia, presidente della bicameralina, esprima «grande soddisfazione», perché «uno degli obiettivi principali del Pdl, in assoluta sintonia con la Lega», è stato raggiunto.
Intanto, astensione molto travagliata sul fronte democratici. Dove alcuni erano per il «sì», altri, come gli ex-Ppi, propensi per il «no». Spiega Beppe Fioroni: «È stato un errore astenersi, dovevamo votare contro». Ribatte Emanuele Fiano: «Io sarei stato per un voto favorevole». Sintetizza Dario Franceschini: «Lastensione è un atteggiamento di assoluta responsabilità su uno dei pochi temi su cui è rimasto lo spazio per un confronto politico». Sarà.
E lUdc? «Pur apprezzando lo sforzo dei relatori e del ministro, restano molti punti oscuri e siamo certi che con questa norma si moltiplicheranno le spese per il Paese, in un periodo di forte crisi finanziaria», chiariscono Gianpiero DAlia e Gianluca Galletti, i due centristi presenti in Commissione. Se ne riparlerà a inizio giugno, quando, annuncia Calderoli, «sarà pronto il secondo decreto legislativo» sul federalismo, quello sulle entrate.
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