Arriva alla Scala la romantica Lucia di Roberto Abbado

Il Maestro aveva diretto finora una sola opera al Piermarini: la Gioconda nel 1997

Arriva alla Scala la romantica Lucia di Roberto Abbado

Elsa Airoldi

Pier'Alli, nome importante di casa alla Scala, torna da martedì con la sua Lucia di Lammermoor allestita nel '92 e ripresa nel ’97. Lettura simbolica, strutture svettanti verso il cielo come il romanzo gotico di Walter Scott suggerisce, taglio onirico-psicologico. Ma di lui sappiamo. Molto meno scontata la presenza alla Scala di Roberto Abbado. Dove la prima e ultima opera è stata una Gioconda del'97. Quasi dieci anni fa.
Affabile, pacato, apparentemente distante, Roberto è uno che minimizza gli affanni di una carriera difficile e di un nome ingombrante. Che certo, assieme al background costituito da una famiglia della quale lui è musicista di terza generazione, lo ha aiutato. Ma anche costretto e scelte difficili. I lunghi anni alla guida della Münchener Rundufunkorkester che passano fuori casa. Gli Usa dove a lungo il giovane direttore si fa le ossa. Caso o necessità? Non ci sono dubbi invece sul basso profilo che evita bagliori di flashes e vociare di media. Fa parte del personaggio che ha scelto d'essere.
Roberto Abbado arriva serio e disinvolto con l'originale della Lucia di Lammermoor sotto il braccio. Anche lui (ricordate il Muti del Pavillon chinois?) ha fatto la sua scoperta organologica. Nella scena della follia, e ogni volta che il flauto ha parti soliste, lo strumento indicato è la glas harmonica. Uno strumento di vetro (utilizzato anche da Beethoven, Strauss, Mozart è chissà chi) che si suona con le dita inumidite. Ebbene l'armonica a bicchieri ha trovato un ammiratore, Sasha Reckert, il nostro esecutore, che ne ha costruita una versione dal timbro celestiale. Nella partitura di Roberto niente cadenza di Lucia. E ovviamente l'integrale che lui adotta quasi integralmente. Inclusa la scena della torre.
Dalla sua postazione in Sala Gialla non arrivano segnali di euforia. Che pure non può mancare. Essendo che per uno tirato su a «pane e Simone» (il Boccanegra Leitmotiv del celebre zio, l'opera del suo debutto a Macerata nel '78) il podio di Lucia, gli impegni sinfonici che l'accompagnano, quello opertistico che verrà e la dichiarazione da parte di chi ha titolo che lui, Roberto Abbado, sarà uno dei fili portanti della direzione scaligera dei prossimi anni, sono una vera e propria consacrazione. Ma il far mostra di sé non fa appunto parte del nostro. Come mai solo ora, a dieci anni da Gioconda? E questa Lucia è una programmazione dell'ultima ora? Lucia è prevista da tempo e la Scala ha cominciato ad invitarlo nel 2000. Insomma nell'era Muti. Ma Muti e gli Abbado non si odiavano tanto? Roberto Abbado ha sempre oscillato tra i generi. Adesso il suo cuore batte per il sinfonico. Il teatro avrà due, massimo tre opere all'anno immerse in un mare di sinfonie. Scene di riferimento la Scala, il Regio di Torino, Firenze. Anche il rapporto con l'America continuerà, perchè in Usa i teatri sono belli e funzionano bene. «Una questione di fondi?». «Il Fus è certamente uno scandalo. Dovremmo fare qualcosa, magari cominciando dalla Scala. Certo, in Italia tutto è reso più difficile dall'individualismo che impedisce una serena e indispensabile collaborazione». Il suo sogno è quello di individuare un luogo, un festival, dove le opere vengano eseguite con strumenti filologici e cantate come si cantavano. Osserviamo la singolarità del suo percorso operistico. Il balcantismo, il verismo e in mezzo tanto Verdi. «Verdi è un miracolo. Verdi, Monteverdi e Mozart i cardini del teatro musicale». Abbado promette una Lucia «lucidamente romantica». E quanto a discografia di riferimento dichiara la predilezione per Serafin. Che significa anche Callas.

Sarà per questo che la sua Lucia è Patrizia Ciofi, cantante di grande espressività? «Amo la capacità drammatica, ma la Ciofi è anche un talento del belcanto», risponde salomonico. E ovviamente distaccato. Da chi avrà preso?

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