Art Spiegelman, l’inventore del fumetto della memoria

Dopo 25 anni, il suo Maus sugli orrori della Shoah è ancora il capolavoro della graphic novel. E dagli Usa arriva in Italia il prequel che ne svela i retroscena

Art Spiegelman, l’inventore  del fumetto della memoria

Il suo destino potrebbe essere quello di «one man book», un autore che con un solo libro è riuscito a cambiare il destino di un genere letterario, il fumetto, togliendolo dalle paludi delle cosiddette pratiche basse e innalzandolo alla dignità di letteratura. Stiamo parlando di Art Spiegelman e di Maus, capolavoro assoluto della graphic novel, che a distanza di venticinque anni dalla pubblicazione e a venti dall’assegnazione del premio Pulitzer (solo due fumettari, lui nel 1992 e Jules Feiffer nel 1986, hanno ottenuto il più importante riconoscimento autoriale americano) riesce ancora a far parlare di sé, in ogni angolo del mondo.
È imminente lo sbarco di Spiegelman in Italia, con una sola data, come si confà a una popstar del suo calibro. Giovedì prossimo sarà al Circolo dei Lettori di Torino per un’esibizione a metà strada fra la lectio magistralis e lo show a sorpresa. Criptico il titolo dell’intervento: «What the %@&*! Happened to Comics?», una cavalcata nella storia del fumetto, genere che giustamente Spiegelman non ritiene inferiore ad altri. «I fumetti - spiega - sono una sorta di eco del modo in cui il cervello lavora. La gente pensa in forma di immagini iconografiche, piuttosto che in ologrammi, in esplosioni di linguaggio e non in paragrafi».
Con Maus Spiegelman ha dimostrato la capacità dell’illustrazione di uscire dal cliché e di raccontare la Grande Storia, ripercorrendone anche i momenti più drammatici, nella fattispecie il dramma dell’Olocausto. Da quel libro è nato un filone - le guerre in Russia con Igort, la Palestina con Joe Sacco - ma nessun altro testo è riuscito a eguagliare la potenza drammaturgica del capofila. In un mondo abitato solo da bestie, dove gli ebrei sono topi, i nazisti gatti, i francesi rane, gli americani cani, i polacchi maiali e i russi orsi, l’autore si spinge oltre la parabola orwelliana della Fattoria degli animali attraverso un segno netto, crudo e sintetico che lo ha reso inconfondibile.
Dietro questo affresco universale si cela però una vicenda autobiografica che segna in modo indelebile la sua storia famigliare. Il padre di Art, Vladek Spiegelman, è un ebreo polacco sopravvissuto alla Shoah. Quello che Primo Levi definì «contagio del male» non poteva non essere raccontato, sezionato, analizzato, alla ricerca di una spiegazione razionale che però non sussiste. Art è nato a Stoccolma nel 1948 e dunque ha vissuto l’Olocausto a partire dai racconti del genitore superstite, ma è come se l’assolutezza del dramma gli abbia impedito di dedicarsi ad altro, in tutti questi anni che sono seguiti alla pubblicazione di Maus, uscito nel 1989.
Ha scritto articoli, saggi, testi teatrali, interrompendo un lungo silenzio autoriale solo nel 2004 con L’ombra delle torri, la sua versione sull’11 settembre, dopo aver assistito allo schianto delle Twin Towers dalla finestra del proprio studio. È dunque un’altra tragedia epocale a smuovere le viscere e la penna di Spiegelman. Si rimette così in moto il meccanismo creativo che lo porta a tornare sui propri passi e a rimettere mano al primo libro. Nell’ottobre scorso è uscito in America Meta Maus (Pantheon Books), che fin dal titolo suggerisce un approccio metanarrativo, una sorta di ibrido tra il backstage, il prequel, lo sketchbook e le outakes scartate dalla versione originale.
L’edizione italiana uscirà a fine 2012 per Einaudi e come l’americana conterrà un bonus dvd con i dialoghi, che si ritenevano perduti, fra Art e Vladek Spiegelman. Oltre a svelare i segreti e i retroscena sulla genesi di Maus, al centro è una volta di più il controverso rapporto padre-figlio, proiezione della difficoltà di uscire dalla tragedia della Shoah per chi è venuto dopo. Incensato dalla critica statunitense come appendice del capolavoro, Meta Maus sta così facendo rivivere il mito del suo autore. L’Observer, recensendolo, ha scritto: «Non c’è bisogno di essere un ebreo, né un prigioniero di un campo di sterminio per essere rapiti da questo libro. Chiunque abbia cercato di comprendere il mistero dei propri genitori, e come il XX secolo li abbia trattati, troverà in Meta Maus una chiave che aprirà la serratura».


Dopo il ritorno letterario, quest’anno Spiegelman sarà alle prese con la direzione artistica del Festival del fumetto di Angouleme, in Francia. Nel frattempo, è imperdibile quest’appuntamento italiano che anticipa la Giornata della Memoria, il 27 gennaio. E anche questa non è certo una casualità.

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