C’è tatuatore e tatuatore. Così come c’è tatuaggio e tatuaggio. Oggi incidersi la pelle è di moda, come tutto del resto. Eppure non è sempre stato così. Le persone hanno sempre cercato di differenziarsi esteriormente e interiormente. Tra gli uomini primeggiavano i più forti, i più coraggiosi. Che non necessariamente erano i più belli in volto, ma avevano qualità intime e pubbliche palesi. Che spesso venivano rese evidenti anche con dei marchi: i tatuaggi, appunto.
I maori, popolo antico e a noi contemporaneo, usavano i tatuaggi per indicare la propria appartenenza a una casta, per raccontare le proprie imprese in battaglia, per affermare chi erano i genitori che li avevano messi al mondo. Erano, i tatuaggi, una sorta di carta d’identità che si poteva leggere sulla pelle. Un basso rilievo della propria vita. Tra la fine degli anni Novanta e l'inizio dei Duemila, la gente impazzì per i tatuaggi maori. In Italia, a migliaia si fecero tribali ovunque, senza conoscerne davvero il significato. E così, ancora oggi, portano sulla pelle quei marchi (quasi) indelebili.
"Se ti è cara la pelle, allora tatuati", dice Gianmaurizio Fercioni, il primo tatuatore in Italia, a chi entra nel suo studio. Se ti è cara la pelle. Ovvero: se sei disposto a portare il peso di ciò che hai deciso di rappresentare sulla tua epidermide per tutta la vita. Ed è anche il motivo per cui i vecchi tatuatori non raffiguravano nulla su mani e viso: perché il tatuaggio non doveva (e non deve) togliere libertà. Non doveva (e non deve) essere uno stigma. Ma il ricordo, o l'affermazione, di un qualcosa o di un qualcuno. Un messaggio che pochi intimi - o in alcuni casi nessuno - possono vedere e comprendere davvero.
Oggi tutti, o quasi, si tatuano (l'Italia è il Paese con il maggior numero di tatuati in Europa). Eppure, solo pochi sanno cosa si disegnano sulla pelle. Per aiutare a comprendere davvero l'importanza di quello che è un vero e proprio rito, la casa edtrice L'ippocampo ha pubblicato Il linguaggio dei tatuaggi. 130 simboli e i loro significati. Nel volume non viene rappresentato e spiegato un solo stile, ma diversi, con un occhio di riguardo al cosiddetto old school, la vecchia scuola che affonda le proprie radici nella storia marinaresca e militare, e alla tradizione giapponese.
Sfogliando il libro è possibile ripassare (e in alcuni casi conoscere) quelli che sono dei veri e propri topoi del tatuaggio. La stella nautica, per esempio, che indica la lacerazione continua dei marinai, combattuti "fra desiderio e nostalgia, fra la vertigine del viaggio e il sogno di un ritorno a casa. Chi cerca il significato della stella nautica dovrà rivolgersi a questa apparente aporia: ispirato alla stella polare e alla rosa dei venti, è un amuleto contro i rovesci del destino e una guida per tornare sani e salvi da un viaggio che si spera lungo e avventuroso, per fare infine ritorno a un porto calmo e sicuro". La stella indica allo stesso tempo una direzione da seguire e un angelo custode sulla pelle. La Rose of no man's and, la crocerossina dallo sguardo malinconico che nasce dal sangue delle trincee della Prima guerra mondiale. Indica "grazia e coraggio". E pure la speranza: quella di chi, colpito e ferito, sa che qualcuno, magari dagli occhi verdi e dalle labbra melograno, si prenderà cura di lui. Magari si innamorerà pure e insieme godranno, dopo le brutture della guerra, la bellezza della vita. La nave, il più classico dei tatuaggi marinareschi. I velieri "rappresentano metaforicamente il grande mare della vita: un risveglio spirituale che prelude a una nuova partenza, e a un viaggio che si spera abbia sempre il vento in poppa".
A chi si tatua la nave, il tatuatore chiede: quanti gabbiani vuoi che disegni? Sono le persone che si vuole portare con sé. E, spesso, sono poche. Perché l'amore vero, quello pieno e appagante, è per pochi. Come per pochi sono i tatuaggi. Quelli veri, che portano un significato profondo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.