Assalti anche in Libia e Tunisia La primavera araba è integralista

La primavera araba non sta portando solo democrazia e libertà, ma pure caccia al cristiano, oscurantismo religioso di stampo islamico e paure per i non musulmani, che talvolta preferiscono le vecchie dittature al nuovo caos. In Egitto sarebbero 100mila i cristiani che hanno scelto la via dell’esodo. Forse è una cifra un po’ gonfiata, ma tutti i non musulmani lambiti dalle rivolte arabe temono per il loro futuro.
In Siria i cristiani sono il 10% della popolazione e considerano un pericolo la caduta del regime di Bashar Assad. Presenti in Siria da 1.400 anni temono l’avvento di una «dittatura» della maggioranza sunnita dominata dai Fratelli musulmani. Non solo: in Siria vivono in esulio molti cristiani iracheni e libanesi che speravano di aver trovato un rifugio sicuro dalle minacce integraliste. Lo stesso, Bishara Boutros al Rai, patriarca maronita del paese dei cedri ha giustificato Assad, che sta insanguinando la Siria con una spietata repressione. Secondo il patriarca è «un pover’uomo che non può fare miracoli». I cristiani della Siria, però, rischiano di restare intrappolati fra due fuochi. Domenica sera il Gran Mufti, Ahmad Bader Hassun, nominato dal governo di Damasco, ha lanciato dalla tv di Stato minacce senza precedenti: «Nel momento in cui il primo missile (occidentale nda) colpirà la Siria, il Libano e la Siria lanceranno tutti i loro figli come attentatori suicidi sul territorio europeo e della Palestina (Israele nda)». Il Mufti è noto per i sermoni in favore del dialogo fra musulmani e cristiani.
L’oscurantismo viene alla luce anche in Tunisia. Trecento integralisti hanno preso d’assalto una tv privata di Tunisi, che venerdì sera aveva trasmesso Persepolis seguito da un dibattito sul fondamentalismo religioso. Il film descrive il regime iraniano di Khomeini con gli occhi di un’adolescente. Il partito Ennahda, proibito ai tempi di Ben Alì, è il favorito nelle prossime elezioni. Nonostante si presenti con toni moderati, concilianti e duri contro i salafiti filo al Qaida non viene creduto da tutti. Gli estremisti islamici hanno fatto irruzione, pestato e minacciato studenti e professori universitari considerati troppo laici. L’ultimo scontro è scoppiato all’università di Sousse, quando è stata rifiutata l’iscrizione a Lettere di una giovane che indossava il niqab, proibito negli atenei.
In Libia, Adel al Hadi al Mishrogi, uno degli uomini d’affari che ha raccolto più fondi per la rivolta anti Gheddafi, non crede alle promesse dei fondamentalisti e punta il dito contro al Etilaf, un cartello di organizzazioni islamiche sorto a Tripoli. Fathi Ben Issa, uno dei primi rappresentanti del nuovo consiglio municipale della capitale accusa al Etilaf di essere dominata da «talebani che vorrebbero chiudere teatri e i cinema. Non ci siamo liberati da Gheddafi per sostituirlo con questa gente». David Gerbi, un ebreo di origine libiche cacciato nel 1967 dal colonnello, è tornato a casa seguendo i ribelli. Mustafa Abdul Jalil, leader del Consiglio di transizione, gli ha promesso che farà parte del parlamento transitorio. Quando Gerbi ha cercato di riaprire la sinagoga di Tripoli è stato minacciato e ha dovuto sgomberare.
Se la primavera araba non rispetta le minoranze religiose, i cristiani dell’Iran, oppositori degli ayatollah, sono sotto tiro anche all’estero.

Undici esuli iraniani che credono in Cristo hanno ricevuto minacce di morte dai «Soldati dell’Imam nascosto». Un’organizzazione segreta che si ispira al dodicesimo Imam della fede sciita sospettata di essere legata ai servizi segreti iraniani.
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