Assalto finale a Bangkok: ucciso un reporter italiano

Gian Micalessin

Lo hanno fulminato mentre scattava le foto dell'assalto dell'esercito all'accampamento delle camicie rosse nel centro commerciale di Bangkok. Probabilmente due colpi: un proiettile all'addome e un altro al cuore. Sparati da un cecchino, forse governativo. Fabio Polenghi, freelance milanese di 45 anni, è morto così, in una giornata di guerra civile.
«Ero lì mentre sparavano ad altezza d'uomo. I cecchini sia dei governativi che dei rossi, appostati sui tetti di palazzi, hanno scatenato un fuoco d'inferno» racconta al Giornale un altro fotografo italiano, Andrea Bernardi. Lui non ha visto il collega cadere, ma poco distante, nella zona di Saladeng, è prima linea. Polenghi ha un casco verde, con la scritta gialla Press, troppo piccola. Attorno al collo un paio di occhialini stile piscina, da usare quando lanciano i lacrimogeni. Indossa una maglietta nera, anche se qualcuno ha parlato di un giubbotto antiproiettile. Di nero sono vestiti pure i «ronin», i samurai delle camicie rosse. Un vero e proprio corpo paramilitare, composto da 300-400 uomini. «Una specie di feccia della società, ma che combattono armi in pugno - spiega Bernardi da Bangkok -. Portano in giro sacchi pieni di granate o di bottiglie da usare per le molotov che lanciano con le fionde sull'esercito».
Alcuni filmati riprendono Polenghi a terra, trascinato da altri giornalisti, fuori dalla «killing zone», dove fischiano le pallottole. Lo caricano su una motocicletta tenendolo fermo fra due persone. Un altro spezzone mostra l'arrivo al vicino ospedale della polizia. Lo distendono su una lettiga e si capisce che non c'è nulla da fare. Non gli hanno ancora tolto il casco, ma gli occhi sono quelli spalancati e fissi della morte.
«Nell'area di Bonkai gli scontri sono stati violentissimi - racconta Bernardi -. Verso le 10.30 è arrivata la notizia che l'esercito aveva sfondato le barricate e stava dilagando nel quartier generale dei rossi. In quel momento è scoppiato l'inferno. I cecchini hanno cominciato a sparare: tum, tum, tum. Sia colpi secchi che raffiche, venti minuti di fuoco continuo».
Il testimone freelance trova riparo all'ingresso devastato di una banca. «Mettevi il piede fuori e ti arrivava una scarica di pallottole - racconta l'italiano -. La grande via davanti a noi era deserta, a parte qualche ferito a terra. Il personale della Croce rossa doveva schivare le pallottole per raggiungerli». Ad un certo punto il coraggioso fotografo vede «una camicia rossa, presa in pieno da un proiettile alla schiena. Era morto». Un chilometro più in là sta spirando Polenghi. «Dove mi trovavo io non miravano ai giornalisti - spiega il fotografo sopravissuto -. Sparavano da entrambe le parti e potevano colpire chiunque».
L'attacco dell'esercito è scattato all'alba con blindati e un migliaio di uomini. Le camicie rosse inizialmente cercano di resistere, ma le barricate vengono travolte e la zona del Lumpini park, che occupavano dal 3 aprile, invasa. «Sono scappati di corsa dalle tende dove vivevano bivaccati per rifugiarsi in un vicino tempio buddista (sarebbero ancora dentro con diversi feriti, nda) - spiega Bernardi -. Gruppi di cani sciolti, invece, si sono dati ai saccheggi appiccando il fuoco ad alberghi, centri commerciali, supermercati. C'erano colonne e nuvole di fumo nero». In fiamme anche la Borsa e una televisione con 130 persone poi evacuate dagli elicotteri. Quattro leader dei ribelli si sono arresi, ma altri stanno preparando la riscossa. Nel nordest del paese, roccaforte delle camicie rosse, sono stati presi d'assalto diversi edifici governativi. Il governo ha imposto il coprifuoco nella capitale e in 23 province. La censura ha zittito le televisioni.

Anche Facebook e Twitter sono oscurati. Il giorno di guerra civile a Bangkok ha provocato 15 morti e una sessantina di feriti. Il governo ha decretato la pena di morte per atti di terrorismo. Polizia ed esercito possono sparare a vista.

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