Attentati alle moschee: qualcuno vuol farsi giustizia da sé

Gli investigatori: non c’è un’unica regia, è la reazione al proliferare dei centri islamici

da Milano

«Dalle indagini non emergono elementi che testimonino l’esistenza di un unico disegno criminoso dietro gli attentati davanti alle moschee e ai centri culturali islamici tra Milano e Brescia. In fondo le molotov sono gli ordigni più elementari da costruire e queste erano tutte di fattura assai grezza. Inoltre non c’è stata alcuna rivendicazione che sarebbe sicuramente arrivata se dietro questi gesti ci fosse un’unica mano, un gruppo desideroso di assumersi la paternità dell’azione. Quel che ci preoccupa, piuttosto, è la crescente intolleranza nei confronti dell’Islam e gli ulteriori episodi di emulazione che questo sentimento diffuso può scatenare: c’è il rischio che qualcuno voglia farsi giustizia da sé».
Gli esperti dell’Antiterrorismo dei carabinieri e della polizia di Milano e Brescia che si stanno occupando delle molotov fatte esplodere davanti al centro islamico di Segrate (6 agosto), davanti a quello di Abbiategrasso (20 luglio e 9 agosto) e alla moschea di Brescia (16 agosto) escludono un disegno politico serio dietro questi attentati, ma sono consci dell’attuale effervescenza, dell’«islamofobia» diffusasi negli ultimi tempi, soprattutto in Lombardia. Un fenomeno acuitosi di certo dopo la diffusione delle notizie sulle recenti mattanze in Irak o sui fatti della moschea di Perugia dove, il 20 luglio scorso, sono stati arrestati l’imam marocchino e due suoi connazionali, stretti collaboratori, accusati di attività di proselitismo e addestramento con finalità di terrorismo. Legato, però, anche a tensioni preesistenti, ad annose e durissime convivenze.
«L’intervento della Lega di Brescia che ha condannato i fatti della moschea la dice lunga» continuano gli investigatori che sottolineano l’importanza dello sdegno espresso pubblicamente sull’attentato alla moschea dagli esponenti locali del Carroccio, notoriamente i più «agguerriti nemici» politici dell’Islam in Italia.
Che qualcuno stia cercando di buttare acqua sul fuoco dopo essersi reso conto di aver fomentato un odio crescente e che potrebbe diventare incontrollabile? Carabinieri e polizia non si pronunciano, ma fanno notare: «Gli attentati sono stati messi a segno solo in Lombardia dove certe aree politiche hanno calcato la mano in determinate situazioni, come la chiusura della moschea di Magenta (Milano). A questo aggiungiamo la noia estiva, il bullismo che produce atti teppistici, l’emulazione, la diffidenza e il pregiudizio».
Le difficoltà di convivenza, però, esistono veramente. «I nostri fedeli sono sempre più amareggiati perché si sentono cittadini di serie B - ci spiega Ahmid El Bezai, della moschea di Brescia -. In questi giorni ci chiedono terrorizzati se ci sarebbe stata la caccia al musulmano qualora le molotov fossero state lanciate davanti a delle chiese». E Hamza Piccardo, ex segretario dell’Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia) ha chiesto ieri ai «responsabili dei centri islamici di dotarsi di sistemi di difesa passiva, impianti di videosorveglianza o sistemi anti incendio».
«Il problema centrale è che le associazioni culturali islamiche coincidono con i centri di preghiera: qui da noi i musulmani faticano a trovare un posto solo per pregare - ci spiegano alla Digos di Brescia -. Un esempio? Davanti all’istituto islamico di viale Jenner di Milano non ci sarebbero le code di fedeli che pregano, infastidendo i residenti, se esistesse un’unica vera moschea come quella che si voleva costruire nella cascina di Crescenzago: tutti confluirebbero lì.

Ma poi la Lega ha parlato delle cascine come di “patrimonio padano” che sarebbe andato a finire “nelle mani dei terroristi” e non se n’è fatto più nulla. Intanto, però, il ministro Amato ha mandato in giro per l’Italia dei prefetti per studiare il fenomeno da un punto di vista sociale, di gestione del culto, completamente slegato da quello investigativo-poliziesco».

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