Amare gli animali ci rende più umani

Il tempo di separarsi giunge sempre troppo prematuramente, in quanto gli animali campano in media molto meno di noi esseri umani

Amare gli animali ci rende più umani
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Signor Vittorio,
solo ieri mattina ho compreso il significato di quanto ci raccontò sulla morte del suo primo Ciccio. Il suo adorato gattone. Ieri se ne è andato il nostro gattone Romeo. Aveva 15 anni. Sì, era anziano, ma era il nostro gattone anziano. Lo confesso, in casa, me compreso, abbiamo pianto a dirotto. Un pianto irrefrenabile. Un dispiacere enorme.
La abbraccio con stima incommensurabile, direi gattesca.
Giorgio Bellotti
Arco (Trento)

Caro Giorgio,
partecipo al dolore tuo e dei tuoi parenti per la scomparsa del vostro amato Romeo, componente importante del nucleo familiare, e comprendo bene, come del resto tu stesso mostri di sapere, la vostra afflizione, che io stesso ho provato più volte nel corso della mia esistenza, allorché uno dei miei amici a quattro zampe, non soltanto gatti ma anche cavalli e altri, mi ha lasciato.

Il tempo di separarsi giunge sempre troppo prematuramente, in quanto gli animali campano in media molto meno di noi esseri umani. Non possono che accompagnarci per un pezzo del tragitto, a volte un pezzettino. Quindi, dovremmo essere portati ad accettarlo, per rassegnazione, per consapevolezza, eppure è così difficile abituarsi a questo distacco, che equivale ad una lacerazione, ad uno strappo interiore che mai più si rimargina del tutto.

Ammetto che mi capita tuttora di commuovermi pensando al mio primo micio, Vecio, o a Ciccio Grigio, che menzioni nella tua lettera, o ad Amalia e a tanti altri felini che ho allevato.

Quale gioia mi ha riempito il cuore quando ho appreso che il mio racconto su Ciccio Grigio, dipartito diversi lustri addietro, ti è rimasto nella memoria.

È come se Ciccio rivivesse in tal modo non soltanto nei miei ricordi e nel mio cuore, ma anche nella mente di chi non lo ha mai conosciuto. Ti sono infinitamente grato di avermi regalato questa emozione.

Un tempo non si poteva mica confessare di stare male per la morte del proprio animale domestico. Si veniva quantomeno derisi, messi alla berlina, insolentiti. Una sorta di pudore ci impediva dunque di parlare di quello che sentivamo, della nostra pena, che veniva sepolta in fondo all'anima. Era concesso e anche benvisto essere in lutto per la scomparsa della zia di decimo grado, ma non per la scomparsa di quel micetto che era cresciuto insieme a noi, che dormiva con noi, che ci dava affetto, amore, tenerezza, conforto, letizia.

Oggigiorno tale tabù è decaduto e la tua epistola ne è prova e testimonianza. Un uomo grande e grosso che scrive al direttore di un giornale di piangere per la dipartita del gatto di casa, conscio che le sue intime rivelazioni verranno pubblicate e diffuse, con tanto di nome e cognome. Beh, se non è un progresso questo...! Un segno di evoluzione, poiché la sensibilità, la pietà, la compassione, l'amore sono sempre sintomo di civiltà e progresso morale e umano.

Voglio essere tanto ardito da spingermi al punto di darti un consiglio non richiesto. Sai come si supera questa sofferenza? Non vi è che una maniera per alleggerirla: prendere subito un altro micio. Attenzione: non si tratterebbe di una sostituzione, di infilare un tappabuchi o una controfigura nel vuoto cosmico lasciato da Romeo. Ogni gatto, così come ogni creatura, è insostituibile in quanto unica e non replicabile. Non sarebbe un tradimento. Non sarebbe un tentativo di archiviare il passato. Né una maniera frettolosa di voltare pagina. Semplicemente doneresti a te stesso e ai tuoi congiunti l'opportunità di godere ancora della presenza nelle vostre esistenze e nella vostra abitazione di un animale bisognoso delle vostre cure tanto quanto voi avete bisogno delle sue.

È

in questo reciproco scambio di affetto, che tra noi e le bestie raggiunge il picco della purezza in quanto reciprocamente disinteressato, che ci è concesso di lenire ogni patimento, grande e piccolo, del vivere quotidiano.

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