
Basta Dpcm e misure che comprimono le libertà individuali. A distanza di cinque anni dall’inizio della pandemia Covid - il 20 febbraio 2020 fu scoperta la positività del cosiddetto «paziente 1» di Codogno, in provincia di Lodi - l’Italia si è dotata di un Piano pandemico aggiornato contro patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale «ispirato a principi che rappresentano i valori fondativi del nostro Servizio sanitario nazionale», si legge nella bozza circolata stamattina, in particolare «la giustizia, l’equità, la non discriminazione e la solidarietà».
Il punto principale delle oltre 150 pagine è che il Piano esclude «l’utilizzo di atti amministrativi per l’adozione di ogni misura che possa essere coercitiva della libertà personale o compressiva dei diritti civili e sociali», quindi è plausibile pensare che il lockdown e le altre misure che abbiamo conosciuto in pandemia - la cui efficacia è oggetto di analisi e di discussione ancora oggi - verrà escluso o quanto meno circoscritto. Un capitolo importante meritano i vaccini, di cui il Piano pandemico riconosce l’importanza dei vaccini, ma con una precisazione: «Se approvati e sperimentati, risultano misure preventive efficaci, contraddistinte da un rapporto rischio-beneficio significativamente favorevole», ma non potranno essere gli unici strumenti per il contrasto agli agenti patogeni, anzi andranno utilizzati insieme ai presidi terapeutici disponibili.
Il Piano pandemico non è un documento ma un protocollo di azioni che entrano in vigore di fronte a un evento di carattere eccezionale come la pandemia. Il diritto alla salute va temperato con altri diritti costituzionali (il diritto all’istruzione, quello alla sicurezza eccetera). Ma la valutazione degli interventi va fatta «a freddo», fuori dall’emergenza pandemica. Nel Piano pandemico infatti si legge: «Il conflitto che potrebbe eventualmente insorgere tra la sfera privata e quella collettiva - si legge ancora - rende necessario operare in ottemperanza al principio di trasparenza», altro principio chiave del piano. «La necessità e l’urgenza di adottare misure relative ad ogni settore» necessitano «un necessario coordinamento centrale, valutando lo strumento normativo migliore e dando priorità ai provvedimenti parlamentari», escludendo appunto il ricorso a interventi coercitivi o limitativi di libertà e diritti se non con «misure temporanee straordinarie ed eccezionali in tal senso». A decidere cosa potremo o non potremo fare saranno solo «leggi o atti aventi forza di legge e nel rispetto dei principi costituzionali».
Ecco perché è importante la pianificazione per tempo del coordinamento delle strategie alle fonti di finanziamento, dagli approcci di sorveglianza agli strumenti di protezione della comunità e all’organizzazione dei servizi sanitari, fino alla formazione del personale. La sanità pubblica resta centrale, così come «la solidarietà che ne sta alla base», ma serve anche «un approccio di cooperazione tra singoli individui e istituzioni» in nome del principio dell’efficacia dell’azione sanitaria. Ma anziché l’approccio emotivo ed emergenziale usato cinque anni fa, con gli errori che ancora oggi sono sotto gli occhi di tutti, servono interventi «fondati su un solido razionale scientifico e metodologico» e «motivati da una condizione di necessità» e da «principi di precauzione, responsabilità, proporzionalità e ragionevolezza».
C’è anche la questione cruciale del modo in cui vanno veicolate le informazioni. La crudele e macabra contabilità di morti e malati va subito archiviata, in cambio di una divulgazione «tanto al personale medico-sanitario quanto ai non addetti ai lavori, in maniera tempestiva e puntuale, attraverso piani comunicativi pubblici e redatti in un linguaggio semplice e chiaro. Ogni persona deve essere informata sulla base di evidenze scientifiche in merito alle misure adottate», che non devono essere né «calate dall’alto» né «scolpite su pietra», vedi l’imposizione di vaccini a certe fasce d’età o professionali su valutazioni che poi sono cambiate senza apparenti motivi scientifici, senza parlare del protocollo domiciliare «paracetamolo e vigile attesa» sconfessato dalla comunità scientifica ma difeso strenuamente dal ministro della Salute Roberto Speranza financo al Consiglio di Stato. È infatti «opportuno aggiornare o modificare le decisioni o le procedure qualora emergano nuove informazioni rilevanti e fondate su evidenze scientifiche» per individuare «protocolli di cura efficaci».
Il problema sono le risorse necessarie, che vanno «impiegate in maniera efficiente ed efficace, rendicontando pubblicamente il proprio operato». E questo vale per tutte le istituzioni coinvolte nella risposta. Ma non si deve sottovalutare la cosiddetta preparedness. Abbiamo detto all’Oms che eravamo preparati ma era una balla. «La preparazione e la necessaria pianificazione operata punta a ridurre al minimo l’eventualità che si verifichi una scarsità di risorse in caso di evento pandemico», vedi le mascherine che avremmo dovuto archiviare in quantità industriali e che invece abbiamo frettolosamente regalato alla Cina mentre i medici della Bergamasca morivano come mosche.
In caso di scarsità di risorse però «ogni scelta di allocazione - e comunque ogni volta che si assegna una priorità - deve essere trasparente e guidata dal principio deontologico e giuridico della uguale dignità di ogni essere umano, dall’assenza di ogni discriminazione e dal principio di equità», a differenza di quanto emerse nel corso della pandemia, quando i medici in corsia dovettero decidere chi privilegiare nelle cure perché aveva più possibilità di sopravvivere e chi invece è stato lasciato indietro. «L’équipe medico-sanitaria, supportata da una riflessione interdisciplinare, valuta il bisogno clinico dei singoli pazienti secondo i criteri di urgenza, gravosità ed efficacia terapeutica e di deontologia professionale. Ogni intervento deve essere proporzionato alle condizioni cliniche del paziente, del quale è riconosciuta l’autonomia decisionale e tutelata la dignità con interventi inclusivi e rispettosi delle caratteristiche di ogni contesto sociale», senza distinzioni.
La maggiore attenzione va posta ovviamente nei confronti delle persone più fragili, come «i grandi anziani, coloro che sono ospitati all’interno di Rsa, le persone affette da patologie rare, psichiatriche, oncologiche, da comorbidità severe o immunodeficienze, le persone che vivono in condizioni di particolare fragilità sociale o economica, le persone migranti e le persone in regime di detenzione».
Quanto ai vaccini «risulta assolutamente centrale la sensibilizzazione delle persone attraverso una comunicazione semplice ed efficace dei benefici e dei rischi correlati», in nessun modo «la campagna di informazione dovrà utilizzare toni drammatici, generare discriminazioni e stigma sociale».
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