Nei giorni appena trascorsi ho avuto modo di leggere, non senza un certo disappunto, articoli di giornale che riportavano l'ultima bravata mediatica della ex "sardina" Mattia Santori, attualmente consigliere comunale del PD a Bologna.
Nel corso di un' assemblea pubblica a Palazzo d' Accursio l'ex fondatore delle sardine ha avuto l'idea piuttosto infelice di paragonare il pesto alla genovese, eccellenza italiana orgoglio della Liguria in tutto il mondo alle infiorescenze di cannabis contenenti cannabidiolo (CBD), sostanza da poco inserita dal governo Meloni per decreto nella lista delle sostanze stupefacenti.
Mostrando in pubblico due vasetti, contenenti uno il gustoso condimento per le trenette e l'altro la cannabis, ha esordito che entrambi posso contenere rischi per la salute , di fatto equiparandoli.
Le reazioni ovviamente non si sono fatte attendere e soprattutto in Liguria si sono infuocati gli animi di esponenti politici e non, offesi profondamente dall'incauto accostamento.
Non entro nel merito dei motivi della protesta portata avanti da Santori contro il provvedimento del governo, fortunatamente in Italia vige un sistema democratico ed è sacrosanto che chiunque possa esprimere il proprio pensiero e intraprendere le propriere battaglie civili, chiaramente nel rispetto della legalità.
Sono però perplessa per le modalità con cui tale protesta è stata portata avanti.
Mi ricorda i discutibilissimi gesti degli attivisti per l'ambiente che hanno imbrattato con torte e quant'altro capolavori come la Gioconda e le celebri tele di Van Gogh e Goya.
Se la lotta in difesa dell'ambiente è più che giusta, cercare visibilità svilendo il patrimonio artistico dell'umanità è un comportamento esecrabile.
Lo stesso vale per quanto accaduto nel consiglio comunale bolognese.
Anche il pesto alla genovese è una vera e propria arte, figlia della tradizione e del lavoro di generazioni di liguri, vero e proprio vanto e simbolo dell'intera regione.
Il forzoso e forzato paragone con la cannabis è stato come lanciare una torta, un tentativo di imbrattare un capolavoro per ottenere visibilità.
Il risultato è stato ottenuto, tutti i giornali ne hanno scritto. Ne valeva la pena?
Quando pubblicamente si afferma che il pesto può far male tanto quanto la cannabis ( in riferimento ai vari possibili allergeni contenuti negli ingredienti della salsa) il messaggio che viene lanciato è forte, successive spiegazioni e contestualizzazioni volte a mitigarlo sono sempre tardive ad insufficienti.
Come ho già trattato in passato, quando una dichiarazione viene espressa di fronte ad una moltitudine di persone, esiste sempre la concreta possibilità che in molti la fraintendano. Qualcuno potrebbe rimanerne impressionato e convincersi a non mangiar più il pesto.
Che sia fraintesa o meno, è stata una pessima pubblicità che il nostro amato pesto alla genovese proprio non si meritava.
Anche per via delle manipolazioni di cui potrebbe essere vittima Oltralpe dove sappiamo bene esistere una certa stampa estera che nutre una malcelata antipatia verso le nostre tradizioni gastronomiche, per questi tabloid notizie mal interpretate sono una ghiotta occasione per poter scrivere altre invettive nel tentativo di denigrare la cucina del nostro Paese.
Propongo quindi di trovare altri modi più costruttivi per perorare le proprie cause che certamente far cattiva pubblicità alle nostre eccellenze non porta da nessuna parte.
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