"Raggiungere i 6000 metri per aiutare i giovani che hanno paura dell'ignoto”

Il 14 agosto l'alpinista Matteo Colnago affronterà una nuova sfida verticale ad oltre 6000 metri sul Khosar Gang in Pakistan. Una prova personale ma anche per aiutare i giovani a superare la paura dell'ignoto

"Raggiungere i 6000 metri per aiutare i giovani che hanno paura dell'ignoto”

Una nuova sfida "verticale" attende il 36enne alpinista Matteo Colnago che, dopo aver scalato le montagne più impegnative del mondo come il Mera Peak e il Chulu Est entrambe di 6000 metri o il Monte Kazbek in Georgia, partirà il 14 agosto per una sfida che alzerà ancora di più l'asticella. Tenterà la scalata della montagna più alta della Shigar Valley in Pakistan, il Khosar Gang a 6040 metri. Un'impresa che porterà avanti per due motivi molto particolari, che a pochi giorni dalla partenza, ha raccontanto nella nostra intervista.

Come è nata l'idea di questa nuova sfida?

"Pratico alpinismo da parecchi anni, ho già fatto alcune spedizioni europee, in Georgia e anche in Nepal sopra i 6000 metri. Quella di quest'anno era un modo per ricordare il settantesimo anniversario della salita del K2 da parte della spedizione degli italiani nel 1954 e per rivivere un po' quell'impresa. Inoltre volevo fare qualcosa a livello alpinistico fuori dai parametri commerciali e turistici. Quella che affronterò è una montagna che è stata scalata poche volte e che si trova sulla catena montuosa del Karakorum. Ci sono stati due italiani che lo hanno fatto e pochi altri alpinisti, però è una zona abbastanza remota e io desideravo un posto un po' più esplorativo anche per un altro motivo ben preciso".

Quale?

"A settembre uscirà un mio nuovo libro, Destinati a combattere (Passaggio al Bosco Edizioni) dedicato a tutti i giovani, ma in particolare ai "Neet" che sono quei ragazzi che a causa di tutti i cambiamenti sociali e geopolitici nel mondo, non studiano e non lavorano per paura dell'ignoto. Attraverso le discipline sportive cerco di far vedere cosa significa affrontarlo, per questo la montagna del Pakistan con le sue incognite era un luogo cooerente con questa idea".

Come è nata la sua passione per l'alpinismo e cosa rappresenta per lei l'ignoto?

"Da piccolo andavo in montagna con mio padre a fare trekking e anche qualche ferrata. Poi durante l'adolescenza ho scoperto di soffrire di vertigini. Questo però non mi ha impedito di prendere il brevetto civile di paracadutismo sotto il controllo militare dai 500 metri e in seguito il brevetto sportivo effettuando un lancio in caduta libera dai 4000 metri. La cosa curiosa è stata che durante i lanci non soffrivo di vertigini come succedeve invece in montagna. Ho voluto capire perché e, approfondendo la cosa, ho compreso che quando facevo paracadutismo, la mia mente era focalizzata sul lancio in sicurezza, senza avvertire la paura dell'inconscio o dell'ignoto. Quando c'è una passione vera, certe paure si fanno da parte. Compreso questo, e amando la verticalità, ho cominciato a riapprocciare con la montagna, iniziando ad aumentare ogni volta l'altezza".

Quale è stata la prima volta che ha sentito che ce l'aveva fatta?

"È successo sulle montagne vicino casa mia. Io abito in provincia di Monza e a pochi chilometri ci sono le Pre Alpi Lecchesi. Sono montagne famose dove si allenavano alpinisti come Walter Bonatti e Riccardo Cassin che hanno scritto la storia. Dopo aver fatto qualche ferrata che mi ha portato in cima a Grigna e Resegone, ho capito che avevo le basi e potevo superare qualsiasi ostacolo, soprattutto a livello psicologico. Non si trattava di montagne altissime come ho poi trovato in Nepal, ma lì ho capito che avevo superato quella soglia che mi avrebbe permesso di alzare l'asticella".

Che rapporto ha lei con la paura, come riesce a trasformarla in adrenalina?

"Diciamo che l'adrenalina è una conseguenza della sensazione della paura. Ho reso questa un'emozione nobile visto che è il mio istinto di conservazione, perché è solo tramite lei che riesco a concettualizzare le difficoltà e quando è il momento di andare oltre un certo limite, e quando invece quello di rinunciare. Per me si tratta quindi di un'emozione che mi permette di sopravvivere e soprattutto vivere. È un po' come stare in equilibrio. La paura è comunque qualcosa di soggettivo e dipende anche molto dalle esperienze che si fanno e come ci si approccia. Diciamo che ha sfaccettature diverse. Ci si può spaventare leggendo che arriverò oltre i 6000 metri, ma magari essere capaci di fare traversate oceaniche in solitaria. Penso comunque che è quella cosa che ti porta a mantenere alta la concentrazione e la massima lucidità".

Nel 2021 ha scritto il suo primo libro, Atleta combattente (Passaggio al Bosco Edizioni), in cui racconta come le discipline sportive siano anche vie spirituali. Perché questo legame?

"Parliamo di discipline sportive, ovvero tutte quelle attività che implicano regole, ma non si tratta solo di tecnica ma soprattutto di rigore mentale. Spesso invece lo sport nella nostra attuale società, viene vissuto solo sotto l'aspetto tecnico e fisico ma mai mentale. Invece il suo scopo è quello di portare elevazione sopratutto a livello psicologico per tornare all'origine e al vero spirito dello sport che è quello potenziare l'aspetto caratteriale; e distanziarsi da quello che ora è diventato tra concorrenza sleale e doping".

Quali difficoltà incontrerà nella scalata del Khosar Gang in Pakistan?

"Sicuramente la quota perché è considerevole e siamo sopra i 6000 metri, per questo io nell'ultimo mese e mezzo, a parte l'allenamento che costantemente faccio sia in montagna sia poi in palestra che correndo, sto facendo tantissima alta quota in Italia per arrivare più allenato possibile e prevenire eventuali mal di montagna acuti. Il secondo aspetto è che questa montagna è abbastanza particolare. Se ci saranno abbondanti nevicate ci sarà un grosso rischio di valanghe soprattutto dal campo 2 alla vetta. Se ce ne saranno poche c'è rischio che le pareti siano piene di ghiaccio sarà quindi una scalata mista tra roccia e ghiaccio. Ovviamente è tutta un'ipotesi perchè a farla da padrone sono le condizioni metereologiche, che dovrò capire al momento e mettere in atto le strategie giuste per affrontarle".

Quanti giorni ci vorranno per arrivare in cima?
"Ho preventivato una settimana di tempo per cercare di capire dal campo base che si trova a circa 3800 metri che tipo di strategia attuare per arrivare poi alla vetta e tornare indietro. Ho previsto di allestire due campi; uno a 4800 e l'altro a 5600 metri circa, per effettuare la fase di acclimatamento. Rispetto ad altre montagne o ad altre scalate che ho fatto, in questa c'è più probabilità di non arrivare proprio perché le difficoltà sono maggiori. Però il mio obiettivo, oltre a quello di farcela ovviamente, è vivere l'esperienza perché qualsiasi cosa succederà sarà sempre formativa".

La sua famiglia cosa ne pensa di questa sua passione?

"I miei genitori fanno buon viso a cattivo gioco, nel senso fanno finta di essere felici ma in realtà sono preoccupati, invece la mia ragazza è molto contenta perché anche lei è una grande appassionata di alpinismo e della montagna. Tra di noi c'è grande sintonia, capisce perché lo faccio e questo secondo me è un valore aggiunto che non è facile trovare soprattutto nella persona che ti sta accanto e che riesce a capire e condividere anche quello che fai".

In effetti ci si chiede spesso cosa spinge qualcuno a compiere queste imprese oggettivamente pericolose.

"Per questo sottolineavo l'importanza di avere una fidanzata che lo comprende perché esternamente spesso si guarda solo da un punto di vista soggettivo come la pericolosità, oppure l'inutilità della cosa. C'è un famoso alpinista che aveva definito questo sport come: "la conquista dell'inutile".

Da un certo punto di vista è vero, perché magari si prepara per un anno una spedizione per poi rimanere cinque minuti in vetta e tornare. Ma in realtà questa cosa è importante per il prima durante e il dopo. che ti permette di vivere diversi stadi e dimensioni formative che senza fare questo tipo di esperienza difficilmente si potrebbero provare".

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