Caro Lucio,
non posso darti torto, ma neppure completamente ragione. Infatti, da quando si è insediato questo governo, la condizione dei lavoratori sta migliorando. Innanzitutto, ponendo fine allo Stato assistenziale che risarcisce e mantiene chi non ha intenzione di faticare pur essendo giovane, sano e robusto, l'occupazione è aumentata e continua a farlo. Altri indicatori ci fanno ben sperare. Riporto l'ultimo dato: l'economia italiana è cresciuta dall'inizio dell'anno dello 0,5 per cento, acceleriamo più di Francia e Germania. Parecchi i dipendenti che hanno visto quest'anno lievitare le buste paga. Anche le mamme lavoratrici sono più tutelate, sostenute, salvaguardate, affinché mettere al mondo figli non sia né impossibile, allorché si lavora, né castrante ai fini della carriera. A realizzare tutto questo non è stata la sinistra, la quale ha sostituito da lustri la battaglia a favore degli operai con quella a favore delle astine alle vocali e a favore delle coppie omosessuali, contro le quali non ho nulla, per carità, ma non mi sembra opportuno ciarlare sempre e soltanto di diritti gay. E non è stato neppure merito dei cinquestelle ormai disintegrati, che erano comparsi sulla scena politica promettendo che avrebbero aperto le istituzioni come scatolette di tonno e abolito la povertà (come se si potesse eliminare per decreto) finendo con il produrre un buco terrificante nelle casse dello Stato, per non parlare delle conseguenze sociali e non solo economiche di provvedimenti il cui scopo non era quello di migliorare la vita dei cittadini bensì di dare un contentino elettorale e creare un sistema parassitario dipendente dall'intervento sistematico dello Stato.
Quella stagione è terminata, quantunque continuiamo a riparare i danni generati da individui che hanno agito in modo sconsiderato, senza responsabilità politica né istituzionale.
Ma tu non sbagli quando sottolinei che al valore del lavoro non attribuiamo ancora abbastanza importanza, nonostante esso sia il valore essenziale su cui si edifica il nostro ordinamento, richiamato addirittura dal primo articolo della nostra Costituzione: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». E il lavoro ha a che fare anche con la nostra dignità, con il nostro benessere. Esso è vitale.
Quando scendiamo in piazza, quando manifestiamo, quando facciamo i cortei, quando ci battiamo, quando ci indigniamo, non lo facciamo mai, o quasi mai, per i lavoratori, i quali seguitano a crepare come mosche. Secondo l'ultima rilevazione dell'Inail, nel 2023 abbiamo avuto 3 morti sul lavoro al giorno, in 12 mesi 1.041, nel 2022 le morti bianche sono state 1.090. Ma per cosa protestiamo? Per il clima, come è accaduto a Torino in questi giorni, ricorrendo alla violenza e sventolando rigorosamente le bandiere della Palestina, sebbene io non comprenda cosa ci azzecchi la questione del cambiamento climatico con la guerra sulla striscia di Gaza. Oppure manifestiamo per festeggiare la ricorrenza della Liberazione sempre sventolando le suddette bandiere, che ormai vediamo ovunque, e prendendo a calci gli ebrei, come è accaduto stavolta a Milano lo scorso 25 aprile.
Il lavoro non è più un grande tema che interessa alle nuove generazioni, intente ad occupare licei e università per ribellarsi a un sistema e a un tipo di società di cui esse fanno parte integrante, quella occidentale, giudicata da loro ingiusta e oppressiva nei confronti di regimi totalitaristi islamici. Alberga un po' di confusione nelle teste di questi ragazzi.
Sfilano per l'inclusione e vogliono escludere Israele; sfilano contro l'omofobia ed esprimono solidarietà a Paesi dell'islam radicale in cui gli omosessuali vengono perseguitati, torturati e uccisi; denunciano l'esistenza del patriarcato in Italia ed espongono le bandiere di nazioni in cui il patriarcato è la cellula della comunità e dove la donna viene ridotta in schiavitù con conseguente negazione totale di qualsiasi diritto umano. Potrei proseguire...I lavoratori che crepano mentre si sudano la pagnotta? Quelli chi se li fila?
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