"Se qualcosa non può andar male, andrà male lo stesso", questa è la famosissima "Legge di Murphy", un paradosso pseudoscientifico e ironico, che sintetizza nel migliore dei modi la carriera commerciale di un'auto ben fatta e ambiziosa come la Fiat Stilo. La berlina a due volumi viene presentata nel marzo del 2001 al Salone di Ginevra, mentre il suo debutto al cospetto della stampa specializzata avviene a Barcellona, il 4 settembre dello stesso anno. C'è grande attesa verso una macchina che promette bene, perché il colosso torinese ha investito tanto su questo modello per recuperare terreno prezioso nei confronti della concorrenza, in special modo quella tedesca. Basti pensare che il Lingotto ha sborsato qualcosa come 900 milioni di euro nell'industrializzazione della Stilo, di cui 300 destinati al rinnovo dell'impianto di Cassino e 200 per lo sviluppo della macchina. Qual è il giudizio finale per l'alunno Stilo? L'odiosa cantilena del ragazzo intelligente e brillante, che non si applica. Per questo la pagellina è mediocre, per non dire scarsa. A volte la storia è crudele, anche Albert Einstein è stato bocciato a scuola, eppure è passato agli annali come uno dei massimi geni dell'umanità.
Il compito della Fiat Stilo
La Fiat Stilo nasce con un'idea in testa, che è quella di sostituire le fortunate Bravo e Brava, giunte agli albori del nuovo millennio con qualche acciacco di troppo. Il colosso torinese ha voglia di misurarsi ad armi pari con l'Europa a quattro ruote nel segmento più competitivo in assoluto, quello delle berline compatte (segmento C). La critica rivolta alle auto del Lingotto durante gli anni Novanta è che peccassero troppo nelle rifiniture, che davano vita a interni poveri e posticci. Quel conglomerato di plastica di bassa lega aveva stufato, specialmente osservando la verde erba del vicino teutonico. Dunque, il primo passo è quello di offrire ai potenziali clienti un abitacolo pensato su misura per loro, che sia esteticamente gradevole, con finiture garbate, dall'ottimo assemblaggio, dal bel dosaggio di plastiche morbide e con un'iniezione di modernità sorprendente. Sotto la giurisdizione di Peter Fassbender, gli interni vengono disegnati da Peter Jansen, il cui fiore all'occhiello è il sistema di infotainment Connect, posto al centro della plancia, con il quale si dirigono molteplici funzioni, compresa quella di navigazione. Un oggetto di alta gamma, difficilmente riscontrabile su un'auto del genere in quel periodo storico, così come tanti altri optional che vanno dai sedili a regolazione elettrica con memoria e riscaldati, al climatizzatore automatico bizona con possibilità di riscaldatore elettrico PTC o riscaldatore autonomo a combustibile, passando per il cruise control e il tetto apribile lamellare. Nel complesso, il salottino pensato dal Centro Stile Fiat è realmente moderno, solido e robusto. Piacerà? Non del tutto.
A tre e cinque porte
La Fiat conferisce alla Stilo 3 e 5 porte due anime e personalità completamente differenti, un po' come accadeva con Bravo e Brava. Stavolta il nome viene uniformato per entrambe le versioni, ma esteticamente le variazioni sono ben visibili a colpo d'occhio. La tre porte è aggressiva, dinamica, cattiva, con un'altezza da terra più bassa della sorella. Il frontale è minaccioso e assomiglia tanto al volto di una persona che non vuole essere disturbata. Il posteriore è altrettanto sportivo e molto spigoloso, ha personalità da vendere. La cinque porte, invece, ha un'altezza da terra maggiore, mentre nel complesso appare più sobria e paciosa. Non sembra malintenzionata, ma molto educata, come esprime bene il suo retro - forse - più anonimo rispetto all'altro. Stavolta la matita è di Mauro Basso, sempre sotto la supervisione del capo progettista Peter Fassbender. Certo, siamo nel 2001 e le varie Ford Focus e Volkswagen Golf sono molto tondeggianti, mentre l'italiana è alquanto puntuta. Il suo design non buca e non convince appieno, non tanto gli addetti ai lavori quanto la parte fondamentale: gli automobilisti. Probabilmente è troppo avanti coi tempi, sembra più adatta ai giorni nostri. In un attimo la Stilo diventa la più classica delle incomprese.
Buoni i motori
Quelli della Stilo sono gli anni d'oro dei motori diesel, del gasolio che spopola perché consente delle prestazioni similari alla benzina ma, al contempo, permette dei consumi molto più bassi. La Fiat è stato il primo costruttore a scommettere e specializzarsi nel sistema common rail, con il Jtd e il Multijet, due motorizzazioni che trovano posto sotto al cofano della nuova berlina compatta. Di pari passo, la Stilo può contare, sin dal debutto, anche sui motori benzina Pratola Serra, compreso il 2.4 litri da 170 CV della versione Abarth, ai quali seguiranno i vari Fire, Ecotec e Torque. Il comportamento su strada della Stilo è notevole per stabilità e dinamica, merito di un assetto eccellente e di un comparto sospensioni di rilievo. Forse le unità a benzina consumano qualcosina di troppo, ma le emozioni non mancano, specie con la puntura dello Scorpione. Anche stavolta, nonostante gli ottimi compiti a casa, i severi giudici la snobbano.
Più versioni, anche station wagon
Nel 2002 arriva la terza versione della famiglia Stilo, la Multiwagon che nel listino di Fiat sostituisce la Marea Weekend. Anche stavolta cambia il posteriore della vettura, ora liscio e bombato, dove compare anche un pratico lunotto apribile. L'auto è regina per praticità, abitabilità, modularità e comfort. In più, a colpo d'occhio, l'ardita soluzione stilistica del retrotreno piace persino più di quello della cinque porte. Insomma, la versione "giardinetta" non dispiace affatto. Nel 2004 arriva un primo restyling, che affina qua e là qualche tocco estetico, mentre all'improvviso compare in listino, come una stella cadente nella notte di San Lorenzo, una versione speciale: la Michael Schumacher. Il sette volte campione del mondo di Formula 1, all'epoca alfiere della Scuderia Ferrari, firma una versione esclusiva della Stilo che viene venduta in soli 3.500 esemplari, tutti rigorosamente a tre porte e in tinta Rosso Corsa.
Un bagno di sangue
È deludente non venire premiati quando si porta avanti un progetto con sforzo e abnegazione, oltre che con grande sacrificio. L'esborso economico che Fiat ha fatto per la Stilo non è mai stato ripagato. Alla fine della sua carriera nel 2008, questa segmento C è costata l'equivalente di un bagno di sangue: 2,10 miliardi di euro. Per ogni Stilo prodotta, la casa torinese ha perso qualcosa come 2.730 euro. Le prospettive iniziali erano di vendere 350.000 unità entro il primo intero anno di commercializzazione, mentre nel 2003 le stime dovevano toccare quota 400.000. Inutile dire che le aspettative sono state disattese in larga misura, perché in quasi sette anni la Stilo ha venduto solamente 657.134 unità, quasi la metà di quanto avevano collezionato le meno nobili Bravo e Brava.
Eppure la stoffa per fare bene ce l'aveva, ma il suo problema principale è che nata sotto una cattiva stella. Come dice la Legge di Murphy, se qualcosa non può andar male, andrà male lo stesso. La Stilo è la prova tangibile che questo postulato funziona.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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