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Avviso di garanzia per Liana Scundi, la «Hillary» di Trezzano

«Mia moglie non sapeva nulla»: così, in carcere, ha messo ieri a verbale Tiziano Butturini, ex sindaco Pd di Trezzano sul Naviglio e marito dell’attuale sindaco Liana Scundi. Nelle indagini che lo hanno portato in carcere, erano emerse sia una modesta serie di tangenti incassate «in proprio» da Butturini come presidente del consorzio Tasm, l’acquedotto del sud Milano, sia dei cospicui versamenti incassati per oliare due o tre pratiche edilizie a Trezzano sul Naviglio. Il sospetto degli inquirenti è che Butturini incamerasse quattrini in cambio di pressioni (vere o millantate) sulla moglie per agevolare l’iter delle delibere. Ma Butturini è stato netto: mai incassato mazzette. E mai premuto in alcun modo su Liana.
Ma la presa di posizione di Butturini non impedisce che anche Liana Scundi finisca nel mirino dell’indagine. Al sindaco di Trezzano è stato notificato un avviso di garanzia per corruzione, in concorso con il marito. L’ipotesi della Procura - dove l’indagine è coordinata dal capo del pool Antimafia, Ilda Boccassini - è che la Scundi fosse non solo consapevole ma anche complice delle promesse con cui il marito raccoglieva finanziamenti sottobanco dai costruttori legati al clan Barbaro. D’altronde già il giudice preliminare Giuseppe Gennari, nell’ordinanza che aveva portato in carcere Butturini, aveva sintetizzato in modo netto le uniche possibilità investigative: «Può essere che la Scundi abbia semplicemente sbagliato marito, scegliendo un millantatore che si vende il suo nome; ma può anche darsi che Butturini non sia affatto un venditore di fumo…».
A rendere inevitabile l’iscrizione della Scundi nel registro degli indagati è, in particolare, la testimonianza di Alfredo Iorio, il «lobbista» del clan malavitoso che dopo l’arresto ha scelto di collaborare con le indagini. Iorio ha spiegato che i versamenti per decine di migliaia di euro a Butturini nascevano dalla convinzione che l’ex sindaco fosse in grado di influenzare le scelte amministrative della consorte.

Una di queste scelte, in particolare, è finita nel mirino dell’inchiesta: il via libera ad una concessione edilizia su un terreno in cui erano presenti dei pozzi dell’acqua potabile, in barba alle rigorose distanze di rispetto previsti in questi casi dai regolamenti urbanistici.

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