Gli ayatollah divisi In difficoltà il duro Khamenei

Crepe nella dittatura. Il presidente del Parlamento, il conservatore Larijani, si schiera per Moussavi. Il clero moderato preoccupato dal braccio di ferro con gli insorti. Il riformista Rafsanjani tenta una sorta di impeachment della Guida suprema

Gli ayatollah divisi In difficoltà  il duro Khamenei

Ora le crepe s’allargano e minacciano d’incrinare la cupola del regime per poi scendere fino ai piani più bassi dividendo ayatollah, esercito e guardiani della rivoluzione. Il primo segnale lo lancia il presidente del Parlamento Alì Larijani, l’ex pupillo di Alì Khamenei, l’uomo di fiducia a cui la Suprema Guida affidò la trattativa sul nucleare salvo abbandonarlo al proprio destino quando Mahmoud Ahmadinejad ne chiese la rimozione. Da allora Larijani attende vendetta e forse il momento è arrivato.
La prima stilettata al presidente e al suo mentore arriva in un’intervista alla tv di Stato. «Il Consiglio dei Guardiani è composto da esponenti religiosi – dichiara il presidente del Parlamento discutendo del ruolo dell’organo costituzionale a cui è affidato il verdetto finale sui risultati elettorali - ma io mi auguro che alcuni membri decidano di non schierarsi con un certo candidato». Quella frase, pur senza far nomi, suona come una dichiarazione di guerra al presidente e alla Suprema Guida, fa capire che l’insofferenza per quanto sta succedendo agita i piani nobili dello schieramento conservatore. Con Larijani s’identificano tutti gli ayatollah e i dignitari dell’ala conservatrice che guardano con distacco a quello schieramento di duri e puri che Ahmadinejad e la Suprema Guida hanno trasformato nella loro ancora di potere.
Non è solo una divisione di vertice. La frattura, partendo da Larijani, rischia di compromettere l’unità dei pasdaran, dividere i loro ufficiali, alzare il tono delle dispute che già dividono gli ayatollah di Qom impegnati a studiare la crisi. A disegnare gli schieramenti all’interno dei Guardiani della Rivoluzione ci pensa il loro ex capo Mohsen Rezai, il generale candidato alla presidenza a cui i conteggi di regime assegnano un umiliante 1,7 per cento. Stimolare le rivalità dei comandanti pasdaran significa dividere brigate ed arsenali oltre a rendere incerto il controllo di quelle milizie basiji, affidate ai pasdaran, indispensabili per contenere la rivolta di piazza. La prospettiva, per Khamenei e Ahmadinejad, è ancor più inquietante se si considera il malcontento di polizia ed esercito per il ruolo elitario svolto dai Guardiani della Rivoluzione e dai volontari basiji nel campo della Difesa e della pubblica sicurezza. Basta premere su quella contrapposizione per garantire la neutralità o l’inazione di importanti settori delle forze di sicurezza.
Dal punto di vista religioso il contraccolpo non è meno pesante. Alì Larijani, oltre ad essere il rampollo di una famiglia di potenti ayatollah, è anche il fratello di Sadegh, Larijani membro di spicco del Consiglio dei Guardiani. La sua presa di posizione in un mondo dove nessuno parla a caso riflette sicuramente lacerazioni emerse tra i 12 esponenti del Consiglio e le discussioni in corso a Qom. La situazione nella città Santa della Repubblica islamica è anche in veloce evoluzione. Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e il suo braccio destro Hasan Rowhani, secondo «Rooye.com» un sito subito oscurato, sarebbero nella Città santa per tentare di convocare una seduta straordinaria di quell’Assemblea degli Esperti a cui spetta la possibilità teorica di defenestrare la Suprema Guida. Per riuscirci il suo potente presidente Rafsanjani deve garantirsi l’appoggio certo e incondizionato della maggioranza degli 83 ayatollah che la compongono. Ma intanto il regime avrebbe provveduto a far arrestare la figlia e altri quattro famigliari di Rafsanjani schieratisi con l’opposizione.
A smuovere Qom ci pensa anche un prelato di spicco come Alì Montazeri. L’87enne Grande Ayatollah considerato prima di cadere in disgrazia il successore designato di Khomeini ha chiesto tre giorni di lutto nazionale per ricordare le vittime della protesta.

E con l’opposizione si schiera anche l'ex presidente riformista l'ayatollah Mohammed Khatami, chiedendo la formazione di un comitato per analizzare e decidere i risultati delle elezioni dello scorso 12 giugno. «Impedire alla gente di esprimere le sue opinioni – avverte Khatami - potrebbe avere conseguenze pericolose».

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