La Guardia di Finanza ha sequestrato 320 milioni di euro nell’ambito di un’inchiesta per truffa nei servizi extra a pagamento che vede coinvolta anche la Tim, alla quale la GdF ha sequestrato in via preventiva 248,9 milioni. Il provvedimento, spiega una nota, è l’epilogo di «complesse attività di indagine che hanno ricostruito i passaggi attraverso cui gli utenti di Tim si sono visti addebitare, nel periodo 2017-2019, importi non dovuti per attivazioni indebite dei servizi a valore aggiunto (Vas)».
Nell’ambito del procedimento penale risultano indagati, per il reato di frode informatica, 23 persone fisiche appartenenti a diverse società coinvolte. Il filone investigativo trae origine da precedenti indagini da cui era emerso analogo sistema di frode da parte di WindTre. All’esito della prima fase investigativa era stato eseguito un provvedimento di sequestro preventivo per un ammontare di oltre 23 milioni.
In particolare, le investigazioni portate avanti dalla GdF hanno fatto emergere come fosse sufficiente visitare una pagina web o consultare un’app con il proprio cellulare, «talvolta con l’inganno di fraudolenti banner pubblicitari e, senza far nulla», per ritrovarsi istantaneamente abbonati a servizi che prevedono il pagamento di un canone settimanale o mensile. La GdF ha sequestrato anche 8,6 milioni nei confronti di Engineering Ingegneria Informatica, 7,9 milioni nei confronti della società Reply, 1,12 milioni nei confronti della Bordebuzz, 1,43 milioni nei confronti della Digirain, 10mila euro nei confronti di Marchetto Federico (all’epoca dei fatti dipendente Tim aggregato presso un Csp) e 53,9 milioni nei confronti del Csp spagnolo Telecoming per il tramite dell’Ag spagnola.
Immediata la precisazione di Tim in risposta alla nota della GdF, che presenta la vicenda sotto una luce diversa. «Tim ha appreso con sorpresa dagli organi di stampa - recita la nota - della richiesta di sequestro, presentata dalla Procura di Milano e concessa dal Gip del Tribunale di Milano, in relazione al fenomeno delle attivazioni irregolari dei servizi di valore aggiunto, la quale interviene a oltre cinque anni dai fatti per cui si procede». Prosegue il comunicato: «La società sin dal 2019, non appena ha avuto contezza delle irregolarità», dunque quando ancora la società era guidata da Luigi Gubitosi, «ha proceduto di propria iniziativa a segnalare i fatti alla Procura di Roma, la quale, all’esito del procedimento, ha qualificato i fatti come truffe ai danni di Tim».
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