«BARTALI», UN DOLCE OMAGGIO AL CAMPIONE

Per apprezzare appieno Gino Bartali, l'intramontabile (domenica e lunedì su Raiuno, ore 21) è bene dimenticarsi in fretta dell'immagine radicata del campione toscano, morto «appena» sei anni fa, un lasso di tempo non sufficiente per passare con disinvoltura dalla cronaca alla storia, dal rimpianto alla mitizzazione filmografica. Completata la rimozione visiva e mnemonica del Bartali dalla voce roca, dal piglio burbero che la vecchiaia rendeva ancora più tenero, messa a tacere la voglia di sentire il suo celebre «l'è tutto sbagliato, tutto da rifare», ecco che la fiction diretta da Alberto Negrin acquista il giusto e meritato spessore, quello di un omaggio dolcissimo alla memoria di un grande campione, ma anche alla semplicità di un'epoca in cui lo sport, il gesto atletico, l'epica dello sforzo, il valore della lealtà e della passione incontaminata appaiono credibili e sinceri al di là del solito rischio di dipingere il passato con i colori di una nostalgia resa acuta dal sentimento della giovinezza perduta. Questo rischio, in Gino Bartali, l'intromontabile, è stato tenuto fortunatamente lontano da una scrittura pulita e sorvegliata, dal riuscito mixaggio di vicende sportive, sentimentali e di cronaca politica (senza che un aspetto prevalesse sull'altro) e dalla capacità di rendere il racconto fluido, coinvolgente, con un sottofondo di magia favolistica che ne ha reso la visione ancora più fascinosa. Bartali era un personaggio che si faceva voler bene, che sembrava disegnato apposta per coagulare quella grossa fetta di immaginario collettivo che si nutre di sapori schietti, di immedesimazione istintiva e viscerale, e in questo il lavoro della sceneggiatura è stato forse facilitato. Ma dietro l'angolo si nascondeva l'insidia di scivolare in una sincerità un po' macchiettistica, e anche questo pericolo è stato evitato. Merito soprattutto dell'interpretazione di Pierfrancesco Favino, che ha saputo tirar fuori dal «suo» Bartali un'ampia gamma di corde emotive tanto da esaltarne la ricchezza umana e da regalare, al ricordo del campione, il valore aggiunto di qualche sfaccettatura in più rispetto all'abituale iconografia.

Azzeccata anche la scelta di Nicole Grimaudo nei panni della moglie Adriana, bella e paziente, e della piacevole sorpresa di Francesco Salvi in quelli del direttore sportivo, mentre qualche perplessità può aver provocato, specie fra i «coppiani» più irriducibili, la caratterizzazione di Simone Gandolfo nel ruolo di un Fausto Coppi forse un po' troppo fragile e succube del grande rivale, almeno inizialmente. O forse gioca, in questa impressione, il ricordo della ieratica interpretazione televisiva che ne fece Sergio Castellitto un paio di stagioni fa.

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