Tre anni dopo il tragico incidente che costò la vita al campione Nba e alla figlia Gianna, la famiglia Bryant ha accettato il patteggiamento con la Contea di Los Angeles per la diffusione di immagini prese dai soccorritori ai rottami dell’elicottero. Questi comportamenti inqualificabili dei propri dipendenti costeranno una cifra non indifferente al governo della metropoli della California: 28 milioni di dollari e mezzo. La cifra comunicata dal tribunale di Los Angeles nella giornata di martedì 28 febbraio include anche i 15 milioni di dollari che erano stati accordati alla vedova di Kobe, Vanessa, da un tribunale federale lo scorso agosto. Questa compensazione extragiudiziale dovrebbe mettere al riparo la Contea da future cause intentate dalle tre figlie del campione, nonché da altre questioni ancora in sospeso, oltre ai costi legali.
L’ordine deve essere ancora approvato dal giudice federale ma, visto l’accordo delle parti, sembra un fatto acquisito. L’avvocato della famiglia Bryant, Luis Li, sembra soddisfatto del risultato: “Oggi abbiamo visto il successo della battaglia della Signora Bryant per chiamare alle proprie responsabilità i colpevoli di questi atti grotteschi. Ha combattuto per Kobe, per Gianna e per tutti gli altri membri di questa comunità i cui cari deceduti sono stati trattati in maniera altrettanto oltraggiosa”. L’avvocatessa che rappresentava la Contea, Mira Hashmall, ha definito l’accordo extragiudiziale “giusto e ragionevole”, aggiungendo che la speranza di tutti è che, una volta chiuso il processo, “la Signora Bryant e le sue figlie possano finalmente trovare un po’ di pace”. Una conclusione amara di una vicenda che aveva scandalizzato molti tifosi del Black Mamba, ancora sotto choc per la diffusione delle immagini dal luogo dello schianto mortale.
Le foto del tragico incidente
Questa vicenda molto poco edificante era iniziata nelle ore successive all’incidente che coinvolse l’elicottero che stava trasportando l’ex stella dei Los Angeles Lakers, la figlia Gianna ed altri sette passeggeri ad un incontro di basket giovanile. Il cinque volte campione NBA era rimasto ucciso sul colpo quando il Sikorsky S-76B si era schiantato su una collina nel distretto di Calabasas, nella periferia orientale della Città degli Angeli. La notizia aveva fatto il giro del mondo in pochi minuti, sconvolgendo il mondo degli amanti del basket, che si aspettavano grandi cose da Kobe Bryant sia nella pallacanestro che nelle varie cause civili ed umanitarie che seguiva con passione. Quello che però nessuno si aspettava davvero in quel 26 gennaio 2020 era che iniziassero a circolare foto scattate dai poliziotti e dai pompieri che erano intervenuti sulla scena dell’incidente, ritraenti non solo i rottami dell’elicottero ma gli stessi corpi delle vittime.
L’avvocatessa della Contea di Los Angeles aveva più volte ribadito durante il processo che queste foto erano “essenziali nello stabilire le circostanze dell’incidente”. A far pendere la bilancia dalla parte della famiglia Bryant è stato però il comportamento di otto agenti nei giorni successivi, quando le immagini erano iniziate a girare in rete. All’inizio le avevano condivise con altri impiegati dell’ufficio dello sceriffo o tra i pompieri, ma col tempo erano state diffuse anche al di fuori di queste cerchie ristrette. Quando qualcuno le aveva mostrate durante una premiazione, ad un barista o alle mogli degli agenti, la situazione era completamente sfuggita di mano. Gli otto agenti erano quindi finiti nei guai, dando il via ad un processo dolorosissimo per le famiglie delle vittime.
Il processo e la punizione
L’avvocato della famiglia Bryant aveva immediatamente affermato che le foto che ritraevano dettagli dei corpi delle vittime non apportavano niente all’inchiesta in corso ed erano state scattate solo per la curiosità morbosa di vedere come era finito un campione famosissimo. La definizione che usò è allo stesso tempo agghiacciante ed accurata: “gossip visivo”. L’avvocatessa della Contea aveva provato a ribattere, ricordando come lo sceriffo di Los Angeles avesse agito in maniera tempestiva ed appropriata, ordinando che le foto fossero immediatamente cancellate appena era venuto a conoscenza della loro esistenza, ma la giuria non è stata convinta da questa posizione.
La vedova di Kobe, Vanessa, aveva fatto la differenza durante il processo, durato 11 giorni, testimoniando in lacrime che il pensiero di queste foto le aveva fatto venire attacchi di panico. Ancora a pezzi un mese dopo la morte del marito e della figlia, a terrorizzarla era la prospettiva che le foto arrivassero in qualche modo nelle mani delle figlie, che ne sarebbero state sicuramente traumatizzate. La giuria federale aveva dato ragione alle vittime dell’incidente, assegnando alla famiglia Bryant un risarcimento morale e materiale di 15 milioni di dollari. La causa era però continuata a livello locale, per punire in particolare il comportamento dei dipendenti della Contea.
I dubbi sulle circostanze dell’incidente sono ancora irrisolti, con una serie di teorie più o meno fondate che continuano ad essere popolari sulla rete. Il verdetto delle autorità per la sicurezza del volo statunitensi è stato chiaro: la colpa dell’incidente sarebbe di un errore del pilota. Non tutti, però, sono convinti da questo giudizio e chiamano in causa la mancanza di sensori sull’elicottero o il fatto che fosse stato autorizzato a decollare nonostante la fitta nebbia.
La vicenda si conclude quindi dal punto di vista legale ma non riuscirà a risolvere i tanti dubbi legati alla morte improvvisa di uno dei più grandi giocatori di basket della storia. Una scomparsa tanto assurda quanto inspiegabile continuerà a far parlare ancora per molti anni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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