«Bbcf», la formula del Polo che spaventa il Professore

«Il centrodestra presenta Berlusconi, Bossi, Casini e Fini: tre punte più Lega. Noi rispondiamo unendoci»

Nostro inviato da Firenze

«Bbcf» è l’acronimo nuovo di zecca che riassume un problema non da poco, per il centrosinistra, e Prodi lo sa quando lo conia davanti alla platea diessina. Bbcf (Berlusconi, Bossi, Casini, Fini) è la formazione «a tre punte» più la Lega, con cui si presenta il centrodestra alle elezioni. Con la nuova legge elettorale proporzionale, spiega Prodi, «avremo davanti una destra che si diversifica». «Abbiamo bisogno di stabilità di governo - dice - e se vinceremo le elezioni torneremo alla legge precedente proponendo a quella che sarà l’opposizione perché sappiamo che queste cose vanno fatte insieme». Ma intanto, aggiunge, «ci prepariamo unificandoci». Funziona? Sono in molti a nutrire dubbi. Non solo la Margherita di Rutelli, che anche col maggioritario ha fatto il diavolo a quattro per evitare il listone unitario (poi ingoiato causa primarie). Ma anche in casa diessina la preoccupazione sta montando: «Rischiamo di fare grossi errori nell’assetto con cui ci presentiamo», dice Antonello Cabras. «C’è un problema strutturale con questa legge: la moltiplicazione dei partiti paga, porta voti, come si è visto clamorosamente a Messina. Berlusconi se ne sta inventando di tutti i colori, e noi dovremmo fare altrettanto: che so, una lista “Pensionati per Prodi”... invece i nostri cespugli chiedono di fare le liste dell’Unione, esattamente il contrario di quello che ci serve».
Rincara Cesare Salvi: «Berlusconi evidentemente riesce a usare argomenti più convincenti dei nostri. Noi non riusciamo neppure a convincere i partiti della coalizione a presentare tutti i loro simboli...».
Ma Prodi, che conosce dubbi e resistenze, insiste sulle sue parole d’ordine: certo, «si apre una fase difficile con questa legge elettorale che spinge a pensare che l’unità non sia più necessaria. Ma noi dobbiamo rispondere alla Bbcf con l’Ulivo, l’Unione, una grande solidarietà e unità di tutti i democratici e riformatori».
Il cuore del suo intervento alla conferenza programmatica diessina lo dedica alla necessaria risposta all’assalto debenedettiano. Riconosce la centralità del pilastro Ds della sua coalizione, e dà per scontato («un po’ troppo», si lamenta scaramanticamente più di un dirigente della Quercia) la vittoria: «Fra qualche mese saremo al governo», promette. Calca la mano sulle riforme «senza lacrime e sangue» che il centrosinistra saprà fare: «Il nostro primo problema è etico: far dimenticare questi cinque anni di governo con i nostri buoni comportamenti. Prestando grande attenzione alle ingiustizie sociali». Rivendica la «sua» scelta dell’euro, e ribalta su Berlusconi le accuse: «L’euro ha fatto male solo a due Paesi su dodici» e uno dei due è l’Italia, ma per colpa di chi dopo di lui lo ha gestito. Invoca un «fisco giusto», respinge gli estremismi liberisti: «Ma come possiamo adottare la flat tax, un’imposta uguale per tutti, ricchi e poveri? Se lo facessimo anche il desiderio di liberalizzare, il desiderio del nuovo che tutti abbiamo verrebbe frustrato e la gente si chiederebbe: ma volete davvero che chi ha un miliardo di euro di reddito sia paragonato con chi ne ha 15mila». Non lo dice, assicura Prodi, «per demagogia, ma proprio perché un fisco giusto, una lotta contro l’evasione fiscale dura e feroce, ci legittima per gli obiettivi di liberalizzazione e di cambiamento di cui abbiamo bisogno».


Quanto all’Irak si permette una battuta ironica: «C’è la gara a chi se ne tira fuori prima. Quando vinceremo c’è il rischio che di truppe da ritirare non ne troveremo più nessuna. E comunque non si può esportare la democrazia con la guerra e non ci sarà pace senza dialogo politico».

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