Benedetto sia Zalone che illumina la fede del popolo

Fu la versione "rustica" del Guercino. Le sue opere sono trepidanti testimonianze di umile devozione

Benedetto sia Zalone che illumina la fede del popolo

Avevo coltivato in gran segreto il culto di un pittore a tutti sconosciuto, e pieno di una poesia semplice, rurale, contadina. Aveva il nome più insolito e raro rispetto ai maestri vicini, noti e meno noti, dello stesso tempo, il Guercino, Guido Reni, Matteo Loves: emiliano come loro, e con un vivo istinto della vita e della natura.

Zalone si chiama. Benedetto Zalone. E oggi il suo nome è il più popolare tra quelli che corrono sulle bocche dei giovani, dopo tanti precedenti profanati. Si inizia con Carpaccio, tramutato in carne cruda sottile (così che il piatto si è mangiato il pittore), e si prosegue con scultori oscurati da politici: Andreotti (da Libero a Giulio), Gelli (da Lelio a Licio); altri pittori umiliati da cantanti, Morandi (Giorgio da Gianni), Rossi (Gino da Vasco), Ligabue (Antonio da Luciano), Tiziano (chi? Tiziano Ferro?). E ancora, travolti, Baudo (Luca da Pippo) e Sacchi (Andrea da Arrigo).

Per arrivare, oggi, a Zalone. Checco, non Benedetto; la cui fama supera di secoli il silenzio, e minaccia di essere durevole nella satira nichilista del nostro tempo, come toccò piu di mezzo secolo fa ad Alberto Sordi, e un secolo fa a Chaplin (da Elisabeth a Charlie). Dunque sarà sempre più difficile far intendere che Zalone da Cento (non da Bari) è stato un pittore originale e autentico; un alter ego rustico del Guercino, che non si mosse dalla sua patria, dalla sua città, a cavallo fra due capitali estensi, Ferrara e Modena, l'una arrivata alla fine, l'altra capace di attrarre i più grandi artisti moderni, Bernini e Velázquez.

Così, (Benedetto) Zalone nasce nel 1595 a Pieve di Cento e a casa lascia la Madonna con i santi Francesco e Orsola, la Madonna di San Luca con quattro Santi, per la chiesa di San Pietro, la Madonna di Loreto, la Madonna con i santi Bonaventura e Francesco (nella Pinacoteca civica), trepidanti testimonianze di una devozione popolare, profondamente partecipata da un'umanità commossa, e colma di speranza in quella che non è una liturgia o una celebrazione di riti, ma una fede nella certezza di Dio e nella misericordiosa intercessione della Vergine. La Controriforma e le indicazioni ancora recenti sulle immagini sacre del cardinale Paleotti sono lontane; il popolo dei credenti «vede» e sente la divinità vicina, il suo calore, la sua presenza. Sarà così anche nel più impegnativo capolavoro dello Zalone, dopo la tela umanissima per la chiesa di San Pietro a Cento: la potente, maestosa, e insieme vera, pala con il San Matteo e l'angelo sotto la protezione della Madonna in cielo adorata da san Nicola da Tolentino e santa Francesca Romana, per la chiesa di Sant'Agostino (ora in Pinacoteca). Qui Zalone mostra compostezza e un intuitivo, spontaneo classicismo che nulla deve a Guido Reni, ma ha tutta la forza di una rinnovata e umanissima visione del sacro, reverente e accostante, solenne e protettiva.

Zalone non conosce Caravaggio, ma, in questo vigoroso ed esitante San Matteo come in quello ostinato, senza la protezione del cielo, per la Chiesa del Voto di Modena, ha la stessa immediatezza e brutale umanità che troviamo nella prima versione del San Matteo e l'angelo in San Luigi dei Francesi, e persegue il vero non della natura, ma del pensiero e della volontà. A Modena un vecchio determinato e riflessivo è accompagnato da un angelo giovane e discreto, mite badante di un uomo incolto e cocciuto nella sua risoluzione di scrivere. Analfabeta, Matteo non si preoccupa di tenere i libri mai letti sotto i piedi, nella posizione più compatibile con la sua ignoranza, mentre l'angelo lo compatisce con rassegnato e immutato affetto, e vigila con benevolenza sul testo che viene scrivendo l'improvvisato evangelista, molto concentrato, sotto un cielo padano annuvolato.

Da questo, intuitivamente caravaggesco, avvicinamento, Zalone approda al suo capolavoro, in due versioni, l'una a Digione, l'altra presso di me: il Riposo nella fuga in Egitto, un'invenzione commovente nella quiete di un bosco sul fiume. La Madonna non riposa dalla stanchezza ma dalla funzione di madre, e contempla innamorata il bambino fra la braccia di Giuseppe, come mai prima era stato, in tutte le innumerevoli rappresentazioni della Sacra famiglia. Sempre ad assistere era il san Giuseppe, e il gruppo sacro era la Madonna con il bambino. Ora la Madonna, dolcissima e serena, guarda il figlio dormire sotto la paterna protezione, sottolineata dalla mano sotto la testa del bambino, in un quieto pomeriggio di primavera, al tramonto. Siamo verso il 1640, e Guercino è lontano, si sta avvicinando al forzato idealismo di Guido Reni, ma Zalone ne ricorda la poesia degli anni giovanili, fresca, rugiadosa, nei paesaggi bagnati da piogge recenti. C'è una magia, un incanto, in questi riposi, che va oltre ogni letteratura e ogni compiacimento.

Chi scoprì il primo, il piccolo rame del Museo Magnin di Digione, fu Carlo Volpe, valoroso studioso bolognese, che lo interpretò «come un ritratto domestico ambientato sul ciglio dell'aia, alla fine della giornata».Zalone si è difeso, restando per tanto tempo riparato. Non poteva immaginare che il suo nome, per un comico equivoco, sarebbe diventato tanto popolare. Benedetto Zalone.

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