Benedetto XVI fa gol assieme ai cresimandi

Ovazioni, canti, giro di campo. E la confessione: "Ho sentito la chiamata del Signore quando ero un ragazzo come voi"

Benedetto XVI fa gol assieme ai cresimandi

Il colpo d’occhio è da finale di Champions. E quando Bene­detto XVI, in ritardo perché hanno applaudito e applaudito ancora, finalmente entra a San Si­ro, i settantamila esplodono. Urla. Ola. Standing ovation. Sono i cresi­mandi che probabilmente sono già venuti qui, nel tempio del cal­cio, tante volte ma mai avrebbero pensato di ritornarci per battere le mani al Papa. E invece grandi e pic­coli, padrini, madrine, genitori e ragazzini, fanno rimbombare le gradinate. C’è perfino un temera­rio, dalla voce potente, che azzar­da dal secondo anello un «viva il Papa», subito seguito da tutti i pre­senti. L’accoglienza un po’ tiepida dei primi momenti pare superata. Milano ci mette un po’ a trovare il feeling con Joseph Ratzinger, pre­ceduto da troppi articoli e analisi sulla crisi della Chiesa. E invece a San Siro, come alla Scala e in Duo­mo, la città si trova davanti una per­sona di rara semplicità e basta ascoltarlo due minuti per capire che questa chiarezza è l’altra fac­cia della sua profondità. Da un cer­to­punto di vista Ratzinger è l’intel­lettuale più antiintellettuale che esista. È diretto, cristallino e ha un volto rassicurante.

Benedetto fa il giro del prato su un’auto da golf, quelle che fanno pendant nei resort, con lo sguardo quasi divertito, portandosi dietro il cardinale Angelo Scola, la cui im­magine severa e soddisfatta con la berretta in testa ricorda l’iconogra­fia dei vecchi preti lombardi, e pa­dre George, accovacciato sul sedi­le come un figlio in viaggio col pa­pà. Si siede, finalmente, Benedet­to XVI e in poche parole conquista i cuori: «In questo famoso sta­dio... », è l’incipt e pare di vedere tutta una sequenza di gol, scudet­ti, partite di coppa. Lui apprezza ma oggi si gioca un’altra partita: «Ho sentito la chiamata di Dio quando ero un ragazzo come voi». Oggi il frastuono del mondo sem­bra soffocare la voce del mistero, ma Ratzinger propone alle nuove generazioni quel che lui ha vissu­to: «Siate santi. Ma è possibile esse­re santi alla vostra età?», si chiede uscendo dalla retorica clericale. «Vi rispondo: certamente. Lo dice anche Sant’Ambrogio, grande santo della vostra città».

Adesso il Papa è spettatore. Ascolta più che parlare, osserva le coreografie, i palloncini, le ma­gliette colorate, i ragazzi che dise­gnano figure sul prato, in una ceri­monia che ha qualcosa dell’inau­gurazione olimpica. Ora sul rettan­gol­o di gioco prende forma una gi­gantesca colomba, si sentono me­lodie vagamente morriconiane, da lacrima facile, il coro alza il volu­me. La mattinata va avanti a fram­menti: letture, testimonianze, do­mande.

E le scenografie viventi che si susseguono di corsa offrono sor­prese su sorprese. Un cresimando chiede a Scola: «Tu sei come un pa­dre?

». Lui replica con affettuosa ironia:«Forse sono un po’ un non­no ». Anche il Papa per quei ragaz­zini può essere un nonno. Batte rit­micamente le mani, assapora la gioia dei giovani che non mettono avanti i pregiudizi, ma gli corrono incontro con i loro entusiasmi e le loro ingenuità. Certo, Wojtyla a San Siro ne avrebbe combinata una delle sue. Magari avrebbe can­ticchiato al microfono o avrebbe accennato una battuta sul calcio, ma anche Ratzinger sembra a suo agio.

Lontano da corvi e complotti, vi­cino, sempre più vicino a quei ra­gazzi a cui vuole comunicare la bel­lezza del cristianesimo, la stessa che aveva raccontato celebrando in Duomo, a febbraio 2005, i fune­rali di don Giussani. Sì, il cristiane­simo non è una teologia, non è una dottrina, non è nemmeno una mo­rale. No, è l’incontro col Signore: «Imparate a dialogare con il Signo­re, confidatevi con lui, ditegli le gio­ie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno».

Il cardinale Bertone, che sem­bra intagliato nel legno, ascolta impassibile; Scola abbraccia il Pa­pa; Tettamanzi si sbraccia, picco­lo piccolo dal prato immenso per salutare i cresimandi, e loro gli concedono una quasi standing ovation.

Poi pallone e fede si ricompon­gono.

Sul palco salgono la Milano rossonera, rappresentata da Fran­co Baresi, e quella nerazzurra, sul­le spalle di Javier Zanetti. Tutti e due regalano a Benedetto la ma­glia con il suo numero: il 16. In più il capitano dell’Inter tuffa fra le braccia del papa il piccolo Tomas, nato il 9 maggio. Per i ragazzi è co­me una finale di Champions.

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