Nomofobia, quando l’uso dello smartphone diventa patologico

La nomofobia è la paura di rimanere per molto tempo senza cellulare. Può generare una forma di dipendenza alla quale sono esposti soprattutto gli adolescenti

Nomofobia, quando l’uso dello smartphone diventa patologico
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Lo smartphone è ormai diventato uno strumento di comunicazione onnipresente nella nostra quotidianità tanto da creare forme di dipendenza da non sottovalutare come la nomofobia.

Il termine nomofobia deriva dall’inglese “no-mobile phobia” e designa la frustrazione e la sofferenza tipica che si prova quando non si ha il cellulare a portata di mano. Chi ne soffre è assalito da un senso di panico e dalla paura di non essere rintracciabile e quindi di perdersi una notifica o una comunicazione. Queste persone sono costantemente connesse e si portano lo smartphone con sé dappertutto persino nella stanza da letto o in bagno.

Il bisogno di controllare in maniera maniacale il cellulare che sta alla base della nomofobia influenza la qualità della vita del soggetto. Questo accade perché il controllo costante del cellulare innesca un circolo vizioso dal quale spesso è difficile uscirne. Quest’ultimo è paragonato alla dipendenza da sostanze stupefacenti.

Come riconoscere la nomofobia

La nomofobia a livello cerebrale attraverso il controllo dello smartphone attiva la produzione di dopamina nel cervello che stimola la sensazione del piacere e della soddisfazione. I soggetti più a rischio sono gli adolescenti che fanno un uso smoderato dei social networks con i quali tendono a confrontarsi e comunicare continuamente con gli altri e senza i quali non riescono a stare. Vi è una serie di comportamenti a rischio che possono generare la nomofobia: primo fra tutti è l’uso prolungato dello smartphone e stare troppe ore connessi spesso solo ed unicamente a fare scrolling senza un obiettivo mirato.

A destare preoccupazione sono anche quelle persone che hanno il timore costante di avere il cellulare scarico e che per precauzione portano con sé altri dispositivi o caricabatterie. Chi soffre di questa sindrome tende ad avere sbalzi d’umore e stati di ansia al solo pensiero di perdere il cellulare o di vedersi esaurito il credito o i giga a disposizione per connettersi. Di conseguenza si assumono atteggiamenti maniacali di controllo del cellulare con l’obiettivo di constatare il livello di batteria, se vi è connessione o se è arrivata una notifica o un messaggio. Questi comportamenti possono scatenare disturbi fisiologici determinati come battito cardiaco accelerato, mancanza di respiro, tremori, vertigini, nausea.

Come affrontarla

Non esiste un trattamento specifico per la nomofobia. Per uscire da questo circolo vizioso che spinge a stare costantemente al cellulare e connessi sui social, il primo passo da fare è acquisire la consapevolezza che si ha una sorta di dipendenza nei confronti dello smartphone. Opportuno sarebbe autodisciplinarsi impostando dei confini e limiti dell’uso del dispositivo. Ciò va operato gradualmente.

Si può iniziare imponendosi di stare scollegati dal cellulare per un breve tempo che poi nei giorni a seguire aumenterà. Quel tempo trascorso lontani dal cellulare lo si può utilizzare in maniera qualitativa dedicandosi ad un’attività che ci fa star bene come leggere un libro, disegnare, scrivere, suonare uno strumento o incontrare di persona una persona amica: ciò consente di distrarre la mente e di focalizzarla su qualcosa che è in grado di farci stare bene aumentando il senso di autoefficacia e l’autostima.

Sarebbe una buona abitudine tenere in borsa il cellulare quando si incontra un amico, un parente o un famigliare focalizzandosi sulla

conversazione nella “dimensione del qui e ora”, lontani dalle distrazioni che il cellulare può comportare con il potenziale arrivo di notifiche. Al lavoro o quando non lo ritenete necessario è opportuno spegnere la connessione dati.

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