Bersani arruola anche l’estrema sinistra

Pranzo romano a base di pesce tra il segretario Pd e il governatore pugliese Vendola: i due leader siglano un «patto di consultazione» Obiettivo: rifare l’Ulivo, una grande ammucchiata dai comunisti al centro. Con tanto di primarie di coalizione come ai tempi di Prodi

Bersani arruola anche l’estrema sinistra

Roma Ricorrendo ieri il Columbus day, era scontato che uscisse il classico «uovo di Colombo». Si riparte dall’Ulivo (Nuovo come si conviene), dall’Unione, dalla Santa Alleanza: da tutto quanto costituisce «patrimonio comune» per sbarazzarsi del nemico pubblico Berlusconi, stando però ben attenti a non ricadere nei consueti vizietti, nelle vituperate liturgie.
Pier Luigi Bersani precisa: «Non vogliamo rifare l’Unione, non siamo tante pattuglie». Nichi Vendola chiarisce: «Non entro in un Nuovo Ulivo, conta la sostanza: che non sia la replica del passato». Avrebbero potuto definirlo «Pippo» e sarebbe stato uguale. L’hanno chiamato invece «Patto di consultazione», ed è il primo passo per ricostruire (sarebbe meglio dire risanare) il centrosinistra. Idea non proprio originale, ma almeno fresca di giornata: tanto che pare spiazzare l’intero quartier generale del Pd. I due si incontrano ai funerali di Stato per gli alpini morti in Afghanistan, parlottano sottovoce per ricordarsi a vicenda che dovevano già vedersi prima dell’estate, che poi entrambi si sono ritrovati sui giornali l’un contro l’altro armato, che sarebbe ora d’andare a pranzo assieme. «Quando?», fa Bersani. «Oggi sono a Roma», dice Nichi. «Famolo subito, allora», prende partito Pier Luigi.
Finiscono al ristorante di via San Teodoro, proprio alle spalle del Campidoglio, e sono in tre perché Vendola è accompagnato dal responsabile organizzativo di «Sel» (Sinistra ecologia e libertà) Ciccio Ferrara. Si mangia pesce, una ricciola e una spigoletta ai ferri, tanto per restar leggeri. Ma è chiaro che la mossa improvvisata serve soprattutto a Bersani per sottrarsi alla graticola rovente del suo partito, che mangia segretari a colazione. Si accelera, perché il venticello romano oggi minaccia nuvoloni elettorali. E bisogna star pronti: aprir l’ombrello di una collaborazione «fruttuosa» per tutti. Bersani deve smarcarsi il più possibile dalla tenaglia D’Alema-Veltroni che, in modi diversi, lo strangola. Ha bisogno di investitura popolare, e dunque di primarie. Saranno «di coalizione», ed è un’altra partita vinta dallo sfidante Vendola. Nessuno dei due conferma se saranno loro i duellanti, come Prodi e Bertinotti prima dell’Unione. Ma il riconoscimento ottenuto «sul campo» dal governatore pugliese non fa felice soltanto lui, perché Bersani così trova un modo per disinnescare la portata dirompente di un «papa straniero» molto amato dall’ex popolo diesse, con grinta e numeri in grado d’impensierire chiunque. Specie se fosse arrivato alle primarie in feroce polemica con il segretario del Pd. Invece questi disinnesca la mina «inglobandola» nel processo decisionale del programma; sembra non subirlo, ma abbracciarlo in un progetto più ampio, che per ora si chiama «governo di scopo» (per Vendola) o «governo di transizione» (per Bersani), e che mira alla nuova legge elettorale. E in serata, lo stesso Bersani al tg di La7 annuncia: «Da Berlusconi mi aspetto colpi bassi». Del resto lui, Pier Luigi, si ritiene «l’unico politico eletto da milioni di persone».
Resta però il piatto indigesto del pranzo: l’apertura all’Udc, che Vendola accetta in quanto «io non metto veti e non ne voglio subire da altri, benvenuti a tutti». Un’apertura che per ora non include Fini («a quanto ci risulta, fa parte del governo di centrodestra che vogliamo mandare a casa»), ma che trova tanto scetticismo sia dall’udicì Buttiglione («Con l’ammucchiata non si vince e non si governa»), sia dall’amletico pidì Follini, che sibila: «Un pranzo è un pranzo, i fatti sono altri», e poi corre a salutare il vecchio sodale Casini alla commemorazione di Cossiga in Senato. Torneranno presto assieme, visto che dopo questo «patto di consultazione» Bersani intende procedere con Di Pietro, i socialisti di Nencini, i Verdi di Bonelli, i comunisti di Ferrero?
Ma questa diventerebbe allora un’Unione rediviva, si dirà.

La fantasia troverà il modo di stabilirne recinti e differenze (tipo il non ingresso al governo delle forze minori, che si accontenterebbero di rientrare in Parlamento). Basta però che non si cominci - come ieri hanno fatto Bonelli e Nencini - a reclamare un «tavolo» con tutti. No, il «tavolo» no. Risparmiatecelo.

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