Bersani teme la piazza troppo calda

Temporeggiare. Cosa fa un povero cristo quando non ha voglia di fare una cosa e non ha il coraggio di dire no? Dice vediamo, prende tempo, cerca di rimandare il più possibile la rottura di scatole, magari domani, o dopodomani, anzi la settimana prossima, sì sabato, sabato 13 tutti a piazza Navona. È la sindrome dei mariti che non vogliono passare il pomeriggio all’Ikea. Perfetto. È la tattica di Bersani e dello stato maggiore del Pd. Non hanno scelta. È l’unico modo per cavarsela con danni non letali dal dilemma piazza o Napolitano.
C’è stato un momento sabato sera in cui uno sprovveduto responsabile del Pd laziale si è messo a gridare, preso dall’entusiasmo, andiamo tutti a Montecitorio con il popolo viola. Immaginate cosa sarebbe successo. Tutti gli scalmanati, dipietristi, micromeghi, rifondaroli, radicali sornioni, vendoliani, movimentisti vari, avrebbero sommerso di fischi e insulti non solo l’odiato Berlusconi ma anche il complice che abita al Quirinale. Imbarazzo totale. Invece i professionisti della piazza si sono limitati a fischiare D’Alema, quello del «non poteva non firmare». La soluzione è un po’ vigliacchetta, ma ha una sua ratio: ha da passà ’a settimana. Fra sette giorni la rabbia contro il compagno Napolitano sarà sbollita. O almeno, si spera. Questo spiega la strategia del Pd e la faccia paonazza, quasi viola, del capo dello Stato, che si sente solo, nudo e abbandonato. Li strozzerebbe tutti, tranne D’Alema.
Il presidente dimentica che il Pd è in campagna elettorale. Bersani fa quello che può: «Sbagliato dare al centrodestra l’occasione di nascondersi dietro al Quirinale». Il guaio è che il partito si è infilato in un budello per colpa di Tonino. Anna Finocchiaro docet: «Se Di Pietro pensa di trasformare la piazza di sabato prossimo in una giornata di attacchi al capo dello Stato si sbaglia di grosso. Di Pietro ritiri gli attacchi a Napolitano o non scenderemo in piazza con lui».
Il sorriso furbo da molisano dice tutto. Qua si parla di decreti, liste e tribunali amministrativi. Ma questo affare sembra sempre più un regolamento di conti per la supremazia politica nell’opposizione, a sinistra e dintorni. Qui c’è tutto il genio da istrione di Pannella. Chapeau! Uno normale avrebbe cercato di far indossare, con quattro voti in saccoccia, un vestito da governatore alla Bonino. Ora la Bonino vestita da governatore non sta proprio benissimo. Allora Giacinto detto Marco si è inventato questa battaglia democratica per la legalità. Senza la candidatura di Emma il guazzabuglio sulle liste forse non ci sarebbe stato. Fatto sta che il Pdl ha pasticciato e Di Pietro, un po’ appannato e scavalcato in giacobinismo da De Magistris, si è ritrovato un buon motivo per ridare corda ai figuranti della minoranza rumorosa.
L’obiettivo storico dell’ex pm è sempre lo stesso: accreditarsi come l’anti-Berlusconi e per fare questo gli tocca cannibalizzare il Pd. Quella vecchia volpe di Casini l’ha capito subito e si è sfilato. Tanto a lui interessa il suo piccolo giardino al centro del centro dell’arena politica.

E non è andando in piazza che conquista i moderati stanchi di Berlusconi. Verdi e Rifondazione sono extraparlamentari e quindi appena vedono una piazza ci si buttano. Pannella come al solito si diverte. Resta il Pd, che a testa bassa cammina stancamente verso l’Ikea.

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