Bertallot, se la radio suona sul web

Ha cantato con gli Aeroplanitaliani e da sempre usa la radio per sperimentare. Adesso si è inventato RaiTunes, dove internet viaggia in onde medie. E viceversa. Il dj: "Sintonizzo l'ascoltatore sulle frequenze del web"

Bertallot, se la radio suona sul web

È la voce della radio che quando suona pensa. È la voce della radio che guarda al futuro e interagisce con il web, ma quando si tratta di sonorità non si discute: è old stile. Tanto che ha obbligato quelli della Rai a dargli un vecchio microfono neumann «queste moderne cuf­fiette tipo torre di controllo sono comode, ma il vecchio neu­mann... non capta tutto lo stu­dio allo stesso modo ma è molto meno freddo, fa capire a chi ti ascolta che quello dall’altra par­te dell’apparecchio è un posto vero, con gente vera...». Sì Alessio Bertallot, che per an­ni ha condotto B side su Radio Deejay e che ora conduce RaiTu­nes su Rai Radiodue ( dal lunedì a venerdì, dalle 22,40 a mezza­notte), è uno che sperimenta e che ha abituato i radioascoltato­ri a non sintonizzarsi solo per cercare cose “facili”:«che senso ha avere una play list, che non ti porta da nessuna parte, un tizio che piazza dei brani, e dice in mezzo qualcosa... Io cerco di creare un flusso di mettere assie­me dei brani che trasmettano un’idea, e poi li remixiamo dal vivo in studio ci lavoriamo, ma­gari viene anche un artista che suona sul momento, al pia­no... ». Tant’è che mamma Rai ha anche dovuto attrezzarsi con due piatti Technics 1200, mano­vrati in diretta da dj Franky B, e mettere in studio una webcam appesa ad una giraffa per man­dare in onda on line le perfor­mance video che accompagna­no le note. Insomma una cosa strana che tiene assieme il culto­re della musica colta e l’amante del web, alla faccia del commer­ciale: «La Rai ci ha creduto co­me prima ci ha creduto Linus, del resto se la cultura musicale non viaggia sulle frequenze Rai...».

Bertallot lei manda in onda musica “difficile” in un ora­rio in cui c’è pure la concor­renza della tv. Funziona?
«Sì abbiamo un pubblico di persone che sceglie consapevol­mente una cosa diversa... E c’è un perché, sulla rete ormai è di­sponibile tutta la musica del mondo. Allora la radio ha biso­gno di idee nuove, di trasmette­re una cosa viva. La radio deve fornire una linea, guidare il flus­so... Mi spiego, una volta alla set­timana io­metto sullo spazio Fa­cebook della trasmissione il link a una traccia musicale, il pubbli­co mi indica delle altre tracce, io ne scelgo una e poi rispondo con un’altra ancora... Alla sera nasce una playlist che non è la mia e basta».

Il web quindi non è un luogo dove la trasmissione arriva quand’è finita la diretta ra­dio...
«No. Io non voglio usare il web come un deposito, come un magazzino, l’interazione tra la radio e il web è una cosa diver­sa. Il web va usato nel senso del tempo, non nel senso dello spa­zio... ».

Mica ho capito, mi sembra una roba alla Enrico Ghezzi...
«Non è difficile. In realtà il web è il posto dove ormai risie­de la musica, dove si può trova­re una comunità che ascolta la musica. È con questa comunità che bisogna aprire un dialogo, creare dei legami. Nel web biso­gna scorgere delle tendenze e renderle chiare all’ascoltatore: dirgli guarda c’è questo e c’è quello... Oppure creare delle esperienze uniche come quan­d­o abbiamo chiamato Luca Bar­cellona che è un calligrafo... Mentre ascoltava i brani che mandavamo in onda si inventa­va sul momento delle copertine per i medesimi. I brani sono in rete, ma noi a partire da quelli abbiamo creato una cosa unica. Potremmo anche dire che serve una web credibility...».

Tu è da tanto tempo che hai scelto un modello di radio molto sperimentale?
«Quando io ero ragazzo la ra­dio era il posto più sperimentale del mondo. Le radio nascevano dappertutto come funghi, tanto che poi si è arrivati alla comples­sa­questione della regolamenta­zione delle frequenze. Io quella vena sperimentale ho voluto mantenerla... Alla radio svizze­ra facevo Rappare chiaro pren­devamo le canzoni hip-hop e le facevamo in versione strumen­tale traducendo il testo. Era un modo di scardinare la sudditan­za dalla cultura anglofona... Poi è arrivata Radio Deejay, Linus mi ha chiamato dicendomi vie­ni e scegli la musica... Io gli ho chiesto se potevo farlo a modo mio... Lui ha detto di sì. Dentro di me mi sono subito detto che sarebbe durata al massimo sei mesi prima che mi cacciassero, invece ha funzionato...».

Insomma se parliamo di ra­dio c’è spazio per giocare con la cultura. Musicale o meno che sia...
«Non mi è mai piaciuta l’idea che bisogna puntare al basso. Non si può spiegare Scho­penhauer coi rutti, né avere sem­pre come unico riferimento ciò che piace alla gente. Meglio an­dare a cercare sonorità e idee che l’ascoltatore non conosce ma che potrebbero piacergli.

Una delle cose che mi preme è ad esempio far passare nelle nuove generazioni il concetto che è importante sapere chi è l’artista dietro al brano.Nel web la musica “galleggia” e spesso con i credit sbagliati non va be­ne... Vivaldi non è Mozart e non ci si può mettere un chissenefre­ga sopra perché ci piacciono tut­ti e due».

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