Bertinotti: «Impossibile riformare i partiti»

Bertinotti: «Impossibile riformare i partiti»

nostro inviato a Brasilia

Non conosce il «fantasma» del presunto complotto di Prodi per gestire in prima persona la transizione verso un governo centrista. Ma qualche macumba per rinsaldare la traballante coalizione l'ha imparata, il presidente della Camera Fausto Bertinotti, nel suo viaggio in Sud America. Una statuina rappresentante il «dio degli dei» (l'Oxalà di origine sudanese) gliel'ha regalata il governatore dello Stato di Bahia. «Se non ci aiuta lui, nessuno ci può aiutare», scherza il presidente della Camera.
È proprio vero che aleggia uno strano spirito, e una strana idea di sinistra, sul pellegrinaggio di Bertinotti ai santuari del cosiddetto «Rinascimento sudamericano». Lasciato sul comodino di casa il tomo delle opere di Paolo di Tarso, la lettura da viaggio è l'ultima fatica di Paolo Rossi, filosofo e storico della scienza, socio dell'Accademia dei Lincei. Titolo un po’ inquietante e un po’ intrigante: «Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità». Non bastasse poi l’evocazione di certi esoterismi, momenti magici dai quali emerge improvvisa e inspiegabile una nuova leadership, magari anche quella incarnata da un volto antico (Veltroni o se stesso?), Bertinotti elogia con disinvoltura crescente il peronista argentino Kirchner, la socialdemocratica cilena Bachelet, il «Frente amplio» uruguagio che pure ricorre a un «leader di congiuntura o necessità, non con carisma assoluto, ma relativo» (ogni riferimento all'amico Romano è malevolo). Addirittura si interroga, benevolo, sull'avvento del candidato neo-gollista alle presidenziali francesi, Nicholas Sarkozy. Invita a «non demonizzare il compagno Chàvez», «benedice» i progetti di cooperazione che vedono in prima linea le organizzazioni cattoliche (a cominciare dalla Avsi di Comunione e liberazione), il ruolo della Banca mondiale, e cita come sempre volentieri i capisaldi di una religiosità «militante». Finalmente, l'abbraccio commosso all'«amico di lotta» Luiz Ignacio da Silva detto Lula, incontrato ieri a Brasilia. Modello di riferimento in quanto «fondatore e costruttore paziente di processi politici», nonché «grande mediatore tra le forme diverse» di una nuova politica che «non deve temere le divisioni, perché i dissensi sono il sale della terra».
Sarà per questo, che l'Italia unionista si dimostra Paese ad alta densità salina. E che la sinistra, come l'Argentina di un celebre motto di Peròn, no hay que inventarla, hay que interpretarla (non la devi inventare, devi interpretarla). Messi dunque in soffitta i panni del subcomandante Fausto, oggi la frontiera bertinottiana rischia di includere quasi tutti, e non accetta di perdersi lungo il crinale tra radicalismo e moderatismo nella sinistra. Pretende piuttosto un approccio «pragmatico» alla politica che «sfama i poveri, riconosce i diritti civili, costruisce la democrazia con la partecipazione». Questo l'orizzonte, anche se si tratta di esperienze diverse. «Ma sono più importanti le concordanze che le differenze», ha ripetuto. Finendo con il citare Deng Xiaoping: «Non importa se il gatto è rosso o nero, l'importante è che prenda il topo». Oppure Woody Allen: «Mi vengono in mente idee che non condivido».
Solo battute di spirito, certo. Ma il presidente della Camera si dice convinto che la crisi di rappresentanza della politica si possa fronteggiare soltanto con «un rapporto diretto tra leader e base sociale», senza intermediazioni possibili se non quella di una comunione quasi spirituale, e considera i partiti «non riformabili dall’interno». In qualche modo, si tratta dello sviluppo di un'altra battuta, sfornata in Uruguay: «Se i dirigenti vanno in esilio, la base si auto-organizza e il popolo vince».
Nel calderone forgiato dalle necessità drammatiche del continente sudamericano finiscono così tutte le forze che si propongano, come disse Lula in un suo celebre discorso a Porto Alegre (e poi a Davos), di «dare ogni giorno un piatto di riso e fagioli a ogni brasiliano». Ricetta esportabile nel super-sviluppato mondo nordoccidentale? Secondo Bertinotti sì, perché «anche nei Paesi ricchi esistono improvvisi sprofondi di miseria» e, per esempio, sistemi di cooperazione che hanno funzionato a Salvador de Bahia o nelle ville Miseria argentine «possono essere sperimentati anche a Napoli e Palermo... Hanno in comune il mare e le culture popolari, ma anche i problemi: povertà, criminalità, emarginazione...». Riscatto cercato attraverso una nuova forma di politica che rivaluta il concetto di leader.

Bertinotti vede in questo nuovo patto tra popolo e leadership la «rinascita della politica». Epica della metamorfosi continua o «fine della politica»? Forse soltanto ri-partenza dall'«anno zero», e retrocessione a una dimensione «prepolitica». Dunque, «magica». Almeno fino a quando durerà l'incantesimo.

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