di Nino Materi«La storia d'amore» di Fatima, 32 anni, egiziana, inizia con un matrimonio in una moschea italiana piena di fiori. E finisce a Monza in un garage pieno di immondizia. È qui che suo marito Hammed, 50 anni, egiziano, l'aveva scaricata come un sacco di spazzatura. È qui che i carabinieri l'hanno trovata con i suoi tre figli piccoli, anche loro ammassati nel box. La denuncia contro di lui non è scattata per le condizioni in cui faceva vivere donna e figli, ma perché la sua prima moglie (sposata civilmente ma da cui era separato) l'ha accusato di stalking. Fatima era diventata la seconda famiglia di Hammed, poligamo praticante. Fedele al Corano e alla Sharia che gli consente di avere fino a 4 donne.
Mogli di riserva, mogli di scorta. Come Fatima. Non riconosciuta dalla legge italiana. Quindi senza nessun diritto. La vicenda riflette un fenomeno - il concubinaggio - che in Italia sta crescendo in maniera esponenziale sull'onda dell'arrivo massiccio della popolazione musulmana. Un impatto cui lo Stato italiano mostra di non essere adeguato sotto il profilo legislativo. La nostra giurisprudenza, in tema di normativa del concubinaggio, ne è una prova clamorosa. Come conferma il giudice Dembele Diarra, un'autorità in materia di poligamia, ex vicepresidente della Corte penale internazionale: «In Italia è possibile essere poligami di fatto senza violare formalmente la legge, anche se essa sanziona il reato di bigamia». L'alto magistrato ha recentemente presieduto un summit fra esperti di diritto di famiglia di sette Paesi (Turchia, Italia, Francia, Mali, Bulgaria, Israele, Senegal). Le parole più sferzanti l'alto magistrato le ha riservate proprio al nostro Paese, dove «le donne sono vittime di questa gravissima forma di violenza che si chiama poligamia». Il motivo? «La vostra legge non è chiara e finisce col legittimare i matrimoni religiosi all'interno delle moschee: riti celebrati da imam privi di scrupoli che non richiedono nessun tipo di certificazione civile».Una procedura contra legem che Ali Abu Shwaima, ex imam della moschea di Segrate, «poligamo praticante» (con due mogli e sette figli), non ha difficoltà a confermare: «Personalmente ho celebrato decine di matrimoni religiosi. Non mi sento assolutamente in colpa. Il problema è solo di voi italiani. La legge è infatti dalla nostra parte. Non solo la Corte Costituzionale ha abrogato l'articolo 560, quello che puniva il concubinato. Ma non si configura nemmeno il reato previsto dall'articolo (...)(...) 556, quello sulla bigamia, considerato che il secondo matrimonio è un semplice matrimonio religioso, senza alcun effetto civile».
Dacia Valent, da ex deputato del Pd al Parlamento italiano, presentò un esposto alla Procura di Milano, accusando Ali Abu Shwaima di bigamia. L'esposto fu archiviato. Ancora più tagliente il giudizio di Mohamed Baha' el-Din Ghrewati, ex presidente della Casa della cultura islamica di Milano: «La società che non permette la poligamia è incivile e noi musulmani proponiamo la poligamia come rimedio al fallimento della società italiana». Secondo una ricerca condotta dall'Associazione donne marocchine in Italia, presieduta dall'ex parlamentare del Pdl, Suad Sbai, in Italia i bigami sono circa 20mila (non esistono statistiche ufficiali ma solo stime di riferimento), di cui la metà tra Lombardia e Veneto.
MATRIMONIO BREVE
Ma come si è arrivati a questo dato? Le moschee che in Italia celebrano matrimoni religiosi hanno un «albo» dove l'imam annota lo status dello sposo, il quale nel 90% dei casi risulta già coniugato civilmente con una donna musulmana (o italiana di fede cristiana oppure italiana convertita all'Islam). A queste celebrazioni bisogna aggiungere i cosiddetti «orfi», vale a dire i matrimoni a tempo, spesso stipulati in consolati o ambasciate compiacenti. Si tratta di un istituto previsto dalla legge islamica: un'unione suggellata da un patto tra marito e moglie, alla presenza del notaio e di due testimoni. I mariti arabi sposati in Italia tornano al loro Paese di origine per contrarre matrimoni a tempo con donne locali che spesso non sanno che il marito è già sposato. Non drammatizza il problema il professor Stefano Allievi, uno dei massimi esperti dell'islam italiano: «Fare un calcolo è impossibile, ma credo che la poligamia nel nostro Paese rappresenti un fenomeno irrilevante: riguarda poche famiglie, all'interno delle quali spesso la presenza di più mogli non crea alcun problema, perché è normale nella cultura di provenienza o perché è accettata anche da donne italiane convertite». Di tenore ben diverso però la denuncia di Suad Sbai: «In nome di un distorto concetto di integrazione e accoglienza l'Italia finisce col far finta di non vedere la piaga della poligamia che rende schiave migliaia di donne, sottoponendole a ogni tipo di vessazione. Una realtà tanto più paradossale considerato che la poligamia è contrastata da decenni in Tunisia, Turchia, Egitto; annullata dal nuovo codice della famiglia marocchino e severamente regolamentata in molti altri Paesi del mondo arabo».
COLPEVOLI SOLO SULLA CARTA
Negli ultimi 4 anni sono state un centinaio le sentenze di condanna emesse da tribunali italiani nei confronti di uomini (per lo più originari da Paesi arabi) «rei» (ma solo formalmente) di concubinaggio: le pene inflitte sono state infatti comminate non per il reato di poligamia ma per violenze. In altre parole in Italia, per finire in galera «bisogna» almeno picchiare (o uccidere) una delle mogli dell'harem.Il nostro codice penale, sul tema, è contraddittorio: «Considera la poligamia reato, ma non la persegue come fuorilegge - spiega l'avvocato Michelle Gruosso, esperto di diritto di famiglia -. Motivo? Se solo il primo dei suoi matrimoni è registrato civilmente nel nostro Paese e gli altri sono solo effetto di cerimonie religiose all'interno delle moschee italiane, tutto diventa regolare». Ma anche se entrambi i matrimoni fossero stati registrati civilmente non ci sarebbe troppa differenza: nel 2003 il tribunale di Bologna riconobbe a due figli dello stesso padre il diritto di far arrivare in Italia le rispettive madri, prima e seconda moglie dell'uomo in questione. In questo caso, argomentò il giudice, «il reato non sussiste, essendo entrambe le nozze state contratte in un Paese che le consente». Una sentenza che ha fatto giurisprudenza, finendo col legittimare una pratica che comincia a essere proibita perfino in molti Stati dell'islam moderato.«Indubbiamente ci troviamo di fronte a un problema che finora il diritto europeo non è riuscito a risolvere - sostiene Roberta Aluffi, docente di Diritto islamico all'università di Torino -; la poligamia è contraria al nostro concetto di uguaglianza, ma è vero anche che occorre rispettare una donna che ha contratto matrimonio secondo la religione e la legge del suo Paese e che non può essere spogliata di ogni diritto una volta arrivata qui».
Il Corano stabilisce che un uomo possa avere fino a quattro mogli, ma la condizione imprescindibile è che riservi a tutte lo stesso trattamento, in termini di tempo, attenzioni e denaro. «Formalmente - sottolinea l'avvocato Aluffi - già il fatto che lo Stato italiano riconosca solo a una delle spose il titolo di moglie ufficiale non permette di rispettare il principio dell'uguaglianza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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