Blitz a Istanbul: arrestati diciotto seguaci di Al Qaida

Si è rivelata un fiasco la dimostrazione organizzata dai Lupi Grigi: poche decine di giovani in piazza con cartelli che definivano Benedetto XVI «un diavolo»

Marta Ottaviani

da Istanbul

L’ombra di Al Qaida torna ad allungarsi sulla visita di Benedetto XVI in Turchia. Ieri mattina la polizia turca ha arrestato 18 persone a Istanbul sospettate di essere legate ad Al Qaida. A renderlo noto è stata le rete televisiva Ntv, una delle voci più autorevoli dell’informazione locale. La polizia di Istanbul non ha voluto fornire dettagli e nemmeno rispondere alla domanda che si stavano ponendo tutti, ossia se quegli arresti avessero a che fare con la visita del Papa in Turchia. Quesito che per il momento è destinato a rimanere senza risposta, ma che con il comunicato tramesso due giorni fa dalla rete di Bin Laden su internet riporta a quei drammatici giorni del 2003, quando nella megalopoli sul Bosforo quattro auto con a bordo alcuni kamikaze uccisero 67 persone.
Ben altra cosa, per fortuna, la manifestazione di protesta che si è tenuta ieri mattina: meno di un centinaio di fanatici hanno occupato lo spiazzo antistante l’entrata storica dell’Università di Istanbul. La protesta era indetta dal Buyuk Birlik Partisi, il “Partito della grande Unità”, un’organizzazione di estrema destra vicina agli ambienti islamici e che si considera depositaria dei veri valori che hanno ispirato il movimento dei Lupi Grigi, accusati di essersi un po’ troppo imborghesiti nella loro lotta politica. Si chiamano Alperenler Ocaklari, i Fuochi di Alperen. Un nome inquietante, se si pensa che in turco il termine Alperen può significare “lupo” oppure “mujahedin”. E sono gli stessi che settimana scorsa hanno occupato simbolicamente Santa Sofia. I consensi che hanno raccolto alle ultime elezioni sono inferiori all’1 per cento.
Pochi, ma molto cattivi e soprattutto molto giovani, hanno urlato slogan contro Benedetto XVI e il Patriarca greco-ortodosso Bartolomeo I. E per manifestare non hanno scelto un posto a caso. La piazza davanti all’università di Istanbul è il luogo dove sorge la moschea di Beyazit II, il sultano che alla fine del XV chiuse al culto cristiano molte chiese del periodo bizantino, trasformandole in moschee. Per questo, ancora oggi, la zona è uno dei punti di riferimento per gli appartenenti alle fazioni estremiste del Paese, di destra come di sinistra.
Durante la protesta hanno esposto cartelli con messaggio molto simili alla manifestazione-flop di domenica scorsa, indetta dal partito islamico Saadet Partisi. Hanno definito il Pontefice un «diavolo», «venuto in Turchia con una veste bianca, ma con nel cuore un’anima nera». Hanno ribadito all’Occidente che dal 1453 Costantinopoli è diventata Istanbul e che Santa Sofia non si tocca. Sembra quasi un paradosso.

C’è qualcuno che sta cercando in tutti i modi di trasformare la Chiesa della Divina Sapienza da luogo di pace e di incontro fra culture in un teatro di guerra. Sono cellule di estremisti che pullulano nei quartieri più poveri della città e che sono quindi più esposti al fascino perverso del fanatismo. Giovani, come Ouzan Akdhil, killer di Don Andrea Santoro.

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