Federico ha un laurea in economia e commercio. Alla Bocconi. È di Milano e ha fatto tutto per bene. Fino alla laurea, circa 10 anni fa, con tesi sulla «brand migration da Omnitel a Vodafone». Per stare davvero al passo con il reale mondo del lavoro, lui si è allenato tanto. Fatto. A quei tempi dell'Università - la montagna per lui era una fuga dallo studio. Era soprattutto gare di sci alpino. Era scoperta di posti belli, fuori fuoripista e adrenalina. Poi, dopo la laurea, tutto è cambiato. Anche in meglio. Sempre puntando in alto. Perché Federico si chiama Colli, ma come altitudine non basta. A 34 anni nel suo destino ci sono infatti montagne e quote, altissime quote. Perché Federico non si accontenta del Monte Stella, dove allena in settimana i suoi ragazzi dello sci club di Courmayeur dove lavora. Per sentirsi meglio possono andare bene Monte Bianco e Monte Rosa. Ma anche di più, per le sue aspirazioni. Da quegli ottomila che fanno paura solo a pronunciarli. Dalle cime più alte. Un'avventura comunque.
Metà dottore, metà alpinista Estremo. Metà milanese ma a Milano ormai lo vedi solo in tuta o pantaloncini ad allenare i suoi ragazzi al campo XXV Aprile - metà maestro di sci, a Courmayeur. Federico la laurea se la porta a spasso. E non in luoghi per così dire facili. Himalaya. Ad esempio. Da dove è appena tornato, dalla sua spedizione, decisamente impegnativa, denominata Lhotse Ski Challenge. L'hanno chiamata così, lui e il suo amico-compagno di fughe, Edmond Joyeusaz, una laurea anche lui: in montagna (è guida alpina), specializzazione ottomila. I due hanno tentato lo scorso ottobre la cima mitica Lhotse, un sogno di tanti alpinisti. Quella posta sul lungo confine che divide il Tibet dal Nepal. Siamo all'ombra dell'Everest. La parete da scalare era quella nord-ovest, versante nepalese, la discesa era insita nell'impresa: ridiscendere la stessa via con gli sci ai piedi. Solo una spedizione americana, nel 2010, aveva tentato la stessa «diavoleria». Crepacci, canaloni mozzafiato compresi. Pendii a 55 gradi e quota impossibile. In puro stile clean climbing e senza ossigeno: è poi questo «modo» che fa la differenza in un Himalaya quasi da ingorghi e semafori per via delle numerose spedizioni una via l'altra. Quelle con ossigeno e corteo di sherpa.
L'impresa non è riuscita. Tutta quella fatica durata un mese, a centellinare risorse e barrette, con poca acqua e tanta voglia di salire. Poi, il maltempo ci ha messo lo zampino. «In un mese di permanenza al Campo base non siamo riusciti ad arrivare al campo 2. Del resto il periodo era quello giusto racconta l'alpinista milanese Se cerchi di scendere con la neve
le condizioni sono quelle». Ciao Lhotse, dunque, ma c'è stato un premio di consolazione, non da tutti: «Quando abbiamo capito che non si poteva fare nulla, mi sono guardato attorno e cercando lo sguardo di Ed ho chiesto supplicando: Adesso, amico, cosa possiamo fare?. Eravamo a quota 6.100 e c'era lì alla portata l'Ice Fall. Scenderlo con gli sci ai piedi sarebbe stata una prima italiana e la seconda assoluta».Detto fatto.
Due settimane fa, il dottor Colli, ha svolto una lezione in un'aula di SDA Bocconi in cui si tiene il master di «corporate finance». Laureato Cleacc nel 2003, Federico ha parlato della sua impresa in Himalaya e di quella quotidiana di Courmayeur, dove allena i giovani talenti dello sci come maestro e allenatore federale di sci alpino. «Mi hanno chiesto di raccontare agli studenti come si affrontano gli imprevisti nella vita racconta Colli Ho piazzato una telecamerina go-pro davanti a me per sentirmi un pochino più a mio agio a parlare dalla cattedra, come se scendessi la mia discesa con loro e poi ho raccontato che se sei preparato, tecnicamente intendo, le difficoltà si affrontano una alla volta. E spesso si superano.
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