
Ha retto per mesi, con aplomb invidiabile, lo stress che gli montava dentro dopo l'avviso di garanzia e la richiesta di arresto: stress umano, inevitabile. Quando gli è toccato, il 28 gennaio, affrontare nel ring del tribunale il mucchio selvaggio delle telecamere e dei microfoni, lo fatto senza tradire emozioni, persino con un accenno di sorriso. Ma alla fine, l'altro ieri sera, Stefano Boeri tira fuori in poche parole l'indignazione che è il suo vero sentimento davanti alle accuse della Procura, quelle che da tre mesi scavano sotto i piedi prestigio e potere costruiti con determinazione per decenni. La chiama «inquietudine», ma in realtà è indignazione furibonda: «Per i danni irreversibili generati alla mia vita privata e professionale».
La Procura voleva arrestarlo, metterlo ai domiciliari. Il giudice ha respinto la richiesta, gli ha solo proibito per un anno di ricevere incarichi pubblici: incarichi che comunque, con quanto sta accadendo, difficilmente sarebbero arrivati. Non decade dalla carica che gli sta più a cuore, quella di presidente della Triennale, affidatagli dal sindaco Beppe Sala che ieri gli riconferma la fiducia, «non vedo motivo di revocarlo», e quindi sarà lui fra tre mesi a dare il via alla 24esima edizione. Ma sono magre consolazioni davanti alle parole di pietra che il giudice Luigi Iannelli gli riserva, la «risoluzione criminosa», la «elevata capacità a delinquere». Giudizi che in un attimo fanno il giro delle chat, che suscitano le reazioni dei tanti che di Boeri hanno stima, dei molti che lo invidiano, di quelli che riconoscono i suoi meriti ma ne criticano l'ambizione onnivora.
Inciampo provvisorio o caduta, si vedrà. Di sicuro se inciampa Boeri inciampa con lui un pezzo di Milano poderoso e importante, quella che ne ha osservato e favorito l'ascesa, figlio prediletto e fiore all'occhiello, quella che benedì nel 2010 la sua candidatura alle primarie, voluta dai maggiorenti del Pd, e andata a schiantarsi per la miseria di tremilaquattrocentonovantotto voti di distacco contro la rimonta di Giuliano Pisapia. Come sarebbe stata diversa, tutta la storia, se quella volta avesse vinto Boeri. Se a incarnare il ritorno della sinistra al potere invece del sindaco arancione fosse stato questo professionista lucido e pragmatico. Ammesso che riuscisse anche lui a battere poi Letizia Moratti.
Invece la storia ha deciso diversamente, e Boeri se n'è fatta una ragione: tanto lavoro, tanto prestigio, e compensi sicuramente più cospicui di quelli che avrebbe comportato la scrivania di Palazzo Marino. Ma ora va a sbattere. Non solo contro la vicenda per cui volevano arrestarlo, il suo ruolo di presidente della commissione aggiudicatrice dell'appalto per il progetto della Beic a Porta Vittoria. Ma contro la ricostruzione in chiave giudiziaria del mondo di rapporti, di colleganze e di alleanze che stanno dietro alla gara per la Beic e chissà a quante altre. Consuetudini professionali, cene, viaggi, appalti, amicizie, stadio, un mix dove tutto si tiene, e di cui la crudezza delle chat intercettate non rende la complessità tutta milanese. Ma il giudice Iannelli viene da fuori, e non sa che quello è il lessico famigliare di una generazione e di una città.
È la città in cui Stefano è cresciuto nell'epoca più ribollente, immerso in quella che anni dopo definirà «follia totale», con l'eskimo nella cameretta di piazza Sant'Ambrogio, e la violenza crescente degli scontri di strada, militante di seconda fila nel servizio d'ordine del Movimento studentesco. Ma è anche la città che offre a tutti o quasi la chance di riciclarsi in fretta, passata la sbornia della rivoluzione, e gli stalinisti della Statale si reincarnano senza sforzo in professionisti e manager illuminati. Di quella conversione Stefano Boeri è forse l'esemplare più fulgido. Ha il vantaggio di essere giovane architetto nel '92, quando esplode Mani Pulite e una generazione di professionisti che ha disegnato la Milano da bere viene travolta da Di Pietro. Si libera una prateria, e senza più il giogo dei partiti che teneva a bada il business del mattone.
Di quanto accade dopo per Boeri e intorno a Boeri si può dire tutto il bene e molto di male, geniale innovatore o cementificatore, da una parte il Bosco Verticale diventato un must internazionale, «most signifcant building of 2014», replicato a Utrecht, dall'altra chi dice che senza le piantine il Bosco è un casermone come un altro.
Ma più delle qualità del Boeri architetto a dividere è la sua leadership totalizzante, lo studio a Shanghai e la cattedra al Politecnico, la presidenza della Triennale e le commissioni d'appalto, in una concentrazione di potere e di efficienza che lascia poco spazio agli estranei.Ora che tutto traballa, sarebbe bello che almeno uno di quelli che lo hanno portato fin lì, Partito democratico compreso, ne prendesse le difese.
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