Bologna, scontri di piazza per un libro scomodo

Luca Telese

nostro inviato a Bologna

«Ma tu ci verresti a Bologna, all’Università, a presentare il tuo libro?». All’altro capo del telefono c’era un ragazzo che non conoscevo, Oscar Losurdo, dirigente di Azione universitaria del capoluogo emiliano. La risposta era stata la stessa che avevo dato a tutti gli altri, in altre 39 occasioni prima di quella, da Verona a Catania, da Salerno ad Ancona. Certo che verrei. Da quando è uscito Cuori neri, il libro in cui ho raccontato la storia di 21 ragazzi di destra uccisi negli anni di piombo, ho avuto l’occasione di girare l’Italia in lungo e in largo, di dibattere le posizioni più accese. Ma sentivo che Oscar era perplesso: «Davvero verresti a Bologna? Sai, non è una piazza facile, soprattutto l’università».
Mi è tornata in mente questa conversazione ieri mattina, più o meno a mezzogiorno, quando in una piccola piazza di Bologna, piazza Rossini, è successo di tutto. Al centro della piazza un microfono, un palchetto, 50 poltroncine di plastica, una platea che teneva insieme i curiosi dell’ultima ora, ragazzi di Azione giovani, persone che avevano letto dell’appuntamento. In fondo alla piazza, circa un centinaio di autonomi e sedicenti no global, fumo di petardi (tre) fialette di vetro (quelle puzzolenti), slogan demenziali (memorabile quello che univa il mio cognome al sindaco della città: «Cof-fe-ra-ti sei un fa-sci-sta/Te-le-se sei un re-vi-sio-ni-sta»), megafoni, urla, uno striscione in cui c’era scritto «Il fascismo non si riscrive, si distrugge» e un cordone di una quindicina di celerini che faticava a contenere la pressione dei contestatori che volevano entrare nella piazza e interrompere l’ignobile presentazione, ovvero quella del mio libro.
A questo punto bisogna fare un’altra piccola premessa, e raccontare cos’era successo dopo quella telefonata. Ai ragazzi di Azione giovani avevo detto anche che mi avrebbe fatto piacere, anche a Bologna, dialogare con esponenti di sinistra, per sentire anche il loro punto di vista su quei delitti e sugli anni di piombo. Ebbene, mi avevano raccontato che avevano contattato diverse persone tra cui il consigliere di Rifondazione, Monteventi e che tutti avevano risposto o che non potevano o che in quell’occasione non era opportuno. Poi era successa un’altra cosa curiosa: ben cinque aule erano state negate dai professori dell’Università di Bologna con la motivazione che non erano libere o non erano disponibili. E sull’ultima, che secondo quanto accertato dai ragazzi di Azione giovani non era occupata, era caduto una sorta di veto preventivo: «potrebbe servirci». Così gli organizzatori avevano ripiegato su piazza Verdi: «Ci vieni lo stesso?». Certo che ci vengo. Arrivati a 48 ore dall’appuntamento, ricevo una chiamata cortese e affettuosa di una persona che lavora nello staff del sindaco: «Caro Luca, abbiamo il timore che qualcuno della sinistra antagonista potrebbe disturbare la presentazione». Né io né gli organizzatori, a quel punto, pur conoscendo la possibilità di questa evenienza, avevamo intenzione di tirarci indietro. La mattina stessa dell’incontro ricevo la telefonata di un giovane consigliere comunale di An, Galeazzo Bignami, che mi dice: «La questura ci chiede se siamo disposti a scegliere un’altra piazza per creare meno problemi, ti va bene se ripieghiamo su una piazza più piccola, più distante, piazza Rossini?». Scopro che la sera prima il Tg3 aveva dato la notizia che la presentazione era a rischio, che era quasi diventata (unica città d’Italia) un problema di ordine pubblico, che anche le persone più insospettabili, avevano detto ai ragazzi di An: «Sapete, con il clima che c’è all’università, farla in piazza Verdi sarebbe una provocazione». Sì, il clima è pesante, non solo all’università. Il sindaco Sergio Cofferati è stato costretto a mettere il coprifuoco all’una di notte, per contenere le scorribande degli antagonisti che amano il bivacco in pubblica via. E in queste ore, la maggioranza di centrosinistra è attraversata da tensioni durissime fra il sindaco e Rifondazione, per un ordine del giorno proposto dal primo, in cui si chiede una cosa folle come «il rispetto della legalità e delle istituzioni». Inutile dirvi, che del centinaio di contestatori pronti a scendere in campo contro il «revisionismo» nemmeno uno aveva letto Cuori neri.
In realtà, Bologna è diventata un caso nazionale, perché qui si esprime meglio una certa vocazione all’intolleranza pregiudiziale che è uno dei peggiori mali di questa Italia divisa dai rancori e dalle ideologie.

Ma forse, oltre all’inciviltà dei contestatori, che fischiano gli ex deportati, e anziché portare un’opinione in un dibattito preferiscono impedirlo, bisognerebbe aggiungere una volta per tutte anche le responsabilità di chi nega le aule, e si rassegna alle solidarietà tardive, quelle del giorno dopo, a babbo morto. Ha scritto Francesco Merlo, su Repubblica, due giorni fa che «i libri si combattono con i libri». Vero. Come sarebbe bello se si riuscisse a spiegare anche agli antagonisti bolognesi.

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