Bossi apre uno spiraglio sulla riforma pensioni: «Ma il governo rischia»

Bossi apre uno spiraglio sulla riforma pensioni: «Ma il governo rischia»

RomaLa Lega che minaccia la fine del governo è un boia molto strano: nessuno lì dentro, per un motivo o l'altro, sembra aver voglia di lasciar cadere la scure e buttare i dadi nell'urna. Anche il colonnello solitamente più animato da progetti «separatistici» rispetto al Cavaliere, cioè Roberto Maroni, non ha lavorato nelle scorse ore per la rottura, ma al contrario, è stato il coordinatore (da parte padana) delle trattative per un'onorevole via d'uscita (per Lega, Pdl, e per l'Ue che aspetta l'esito) dal caos pensioni. Del resto è materia sua, come ex ministro del Welfare. Alla Camera si poteva vedere il «Bobo» illustrare a Roberto Cota (che visto il caos della situazione ha preferito declinare l’invito a Ballarò), scartabellando una serie di fogli, la bozza di proposta leghista sull'età e l'anzianità ritenute accettabili per accontentare Frau Merkel e Monsieur Sarkozy, ma anche per poter tornare in Padania senza essere «ammazzati» (l'iperbole è di Bossi).
Appunto, il capo. Anche lui non ha gran voglia di andare alle urne, anche se ufficialmente fa il guastatore: «La situazione è molto pericolosa, drammatica la definirei. Non è possibile alzare le pensioni a 67 anni, non possiamo farlo per far piacere ai tedeschi. Se cade il governo si va alle elezioni per forza...la Lega dice no a governi tecnici». Ma questo pessimismo cela altrettanto scetticismo sul voto come soluzione dei mali. Il motivo lo ha detto lui in un colloquio privato: «Se votiamo adesso perdo le elezioni, bisognava farlo quando l'ho detto io a Berlusconi», cioè un anno fa, dopo la rottura con Fini. Ora la Lega rischia un bagno, peggio delle amministrative di primavera, andate maluccio, specie in Lombardia.
C'è anche un risvolto interno, che pesa nei calcoli politici leghisti di queste ore. Se si votasse subito varrebbe il «porcellum», quindi sarebbero Bossi e i suoi consiglieri più stretti a fare le liste. «Sarebbe l'occasione per l'atteso redde rationem - ragiona un parlamentare legato al ministro dell'Interno - perché il cerchio magico cercherà di piazzare i suoi uomini ma stavolta scatterebbe la rivolta». Ecco, sembra che Maroni non abbia ancora voglia di fare il capo-rivolta di una guerra civile del Carroccio. Dunque si tratta, con lui in prima linea, anche sulle pensioni, per andare avanti. Anche se le tensioni dentro la Lega non si placano. Nelle ultime 48 ore si parla di una riunione di fuoco del direttivo leghista della Bergamasca (la circoscrizione di Dalmine, la seconda più importante dopo Bergamo) in cui i militanti hanno chiesto apertamente le dimissioni di Renzo Bossi dal consiglio regionale lombardo e un passo indietro addirittura del capo, con un congresso federale vero e proprio. Mentre a Varese si racconta di una surreale «caccia al fascista» scatenata dopo le parole del segretario federale sugli «ex missini» che avrebbero sabotato il congresso provinciale a Varese, quello finito quasi in rissa. Ma ora c'è una grana più bollente di quella, e sono le pensioni nel mirino dell'asse franco-tedesco.
Ma Bossi si è convinto che dietro la morsa europea contro l'Italia (che secondo il segretario federale ha un sistema previdenziale tutto sommato buono) ci sia lo zampino, politico, di Mario Draghi, «autore» della famosa lettera della Bce definita dal Senatùr «una fucilata a Berlusconi». Il sospetto di Bossi è stato incoraggiato da Giulio Tremonti, che è notoriamente ostile a Draghi. Comunque, dopo diverse ore di incontri Lega e Pdl trovano un'intesa di massima, quanto basta per provare con l'Europa e vedere l'effetto che fa («Sulle pensioni il governo ancora rischia ma alla fine una strada l'abbiamo individuata. Ora bisogna vedere cosa dice l'Europa» dice Bossi). Niente di radicale, perché il capo leghista resta fermo dov'era: le pensioni di anzianità e di vecchiaia non si toccano. Per chi non capisse, torna la minaccia: «Sulle pensioni il governo ancora rischia».
Ma è la solita tecnica del bastone e della carota. Il margine di trattativa è sulle pensioni delle donne (a 65 anni, senza differenze nei tempi tra pubblico e privato), su quelle di reversibilità e sull'età anagrafica minima per avere un vitalizio (per esempio a 60 anni) dopo 40 anni di lavoro. In cambio la Lega vuole qualcosa, però. Due per la verità.

Accelerare gli ultimi due decreti del federalismo fiscale, in modo da chiuderlo per aprile 2012 e andare all'eventuale voto anticipato con il federalismo fatto. Secondo, sgravi fiscali per le imprese concentrate al Nord. Poi potranno dire anche con Eduardo, che è passata 'a nuttata.

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