Bossi: «Decisivo che al Nord prevalgano i sì»

Adalberto Signore

da Roma

Lo ha ripetuto più volte Umberto Bossi. Ai suoi colonnelli e pure durante l’incontro avuto qualche giorno fa a via Bellerio con il Movimento dei giovani padani. «Vincere il referendum è importante. Ma ancora più importante è che al Nord prevalgano nettamente i “s씻. Già, perché in quel caso, anche se la devoluzione dovesse essere bocciata, «potremmo andare in Europa, magari all’Onu, e chiedere la libertà del Nord dicendo che è il Sud del Paese che ferma il cambiamento e il progresso impedendoci di avere uno Stato non più centralizzato e che costa la metà». Una strategia chiara, quella del Senatùr. Che punta sì a vincere la consultazione referendaria del 25 e 26 giugno, ma è concentrato pure sul merito del risultato. Perché, è chiaro, dal voto sulla devoluzione non passa solo il futuro delle riforme o della Casa delle libertà, ma pure quello della Lega.
E se una vittoria del «sì» spazzerebbe il campo da ogni problema aprendo una nuova stagione sia per il Carroccio che per l’opposizione (che ne sarebbe comunque galvanizzata), un successo del «no» avrebbe invece effetti diversi a seconda dell’andamento del voto al Nord, al Centro e al Sud. Una bocciatura tout court, infatti, farebbe deflagrare le fratture interne al Carroccio trasformando i congressi regionali (che in Lega chiamano «nazionali») e quello federale - che secondo Statuto si sarebbero già dovuti tenere da tempo - in una vera e propria resa dei conti, con tanto di processi sommari all’attuale classe dirigente. Che, peraltro, non è sempre compatta nel seguire la linea tracciata dal Senatùr. A volte per incomprensioni interne, altre perché spiazzata dalle accelerazioni di Bossi (ieri sulla grazia a Sofri, oggi sull’amnistia). Un «no» del Nord al federalismo, insomma, equivarrebbe a una bocciatura della politica leghista degli ultimi cinque anni e metterebbe in crisi la stessa ragion d’essere dei lumbàrd. Diverso, invece, sarebbe se dalla consultazione emergesse quella divisione Nord-Sud di cui il Senatùr parla da anni. In primo luogo perché le scelte politiche del Carroccio sarebbero «benedette» dal voto del suo elettorato, in secondo luogo perché la Lega avrebbe un nuovo e devastante strumento per sostenere con sempre più forza le sue battaglie. D’altra parte, al di là delle dichiarazioni non ufficiali del Senatùr, è il capogruppo al Senato Roberto Castelli a mettere nero su bianco che, «nel caso in cui passassero i “sì” al Nord e i “no” nelle regioni centrali e al Sud», allora la Lega «potrebbe andare su posizioni radicali».
Ed è sostanzialmente in questa chiave che a via Bellerio leggono le aperture al dialogo di Bossi. Che, spiegano, cerca di moderare i toni e «ottenere l’appoggio di quella sinistra riformista che sa bene che un “no” al referendum mummificherebbe la Costituzione per altri 60 anni come si augura Scalfaro». Sul futuro della Lega, invece, ogni decisione è rimandata a dopo il 25 giugno. Con il solito ventaglio di alternative già più volte prospettato e sul quale pesa anche il destino politico di Silvio Berlusconi, vero e proprio anello di congiunzione tra il Carroccio e la Casa delle libertà. È ovvio, però, che uno sganciamento di Bossi (le «posizioni radicali» di cui parla Castelli) è piuttosto prevedibile. Non nel senso di una fuga verso l’Unione, anche perché le battaglie su cui si è caratterizzata la Lega negli ultimi anni (dall’Islam all’immigrazione fino alla sicurezza e alla famiglia) sono difficilmente «esportabili» nel centrosinistra.

Ma, piuttosto, di «mani libere» verso la Casa delle libertà, seguendo un percorso che - se non cambia la legge elettorale - è probabilmente destinato a un rientro nel centrodestra prima delle prossime elezioni politiche. È per tutte queste ragioni che Bossi punta in primo luogo «a che il referendum passi nettamente al Nord».

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