Bossi prepara la svolta: autonomia speciale per Lombardia e Veneto

«Ma non possiamo lasciare le altre Regioni al loro destino». Referendum di annessione nelle province di Friuli e Piemonte dove ha vinto il sì

Adalberto Signore

da Roma

Sul tavolo le ipotesi sono più d’una. E tutte, almeno per il momento, praticabili. Con una certezza. «Tra Forza Italia e Lega c’è un asse di ferro rappresentato dal rapporto di assoluta fiducia e amicizia reciproca che c’è tra Bossi e Berlusconi», spiega uno degli uomini più vicino al Senatùr. E «siccome la Lega morirà con Bossi e Forza Italia con Berlusconi, questi due partiti sono destinati a restare insieme fino alla fine». Così, anche i prossimi passi sul fronte federalista - su cui il leader del Carroccio sta lavorando da giorni chiuso nella sua casa di Gemonio - saranno inevitabilmente concordati.
Di certo, la rotta del progetto leghista ripartirà dall’esito del voto referendario. E quindi dalle due regioni che si sono espresse per il «sì»: Lombardia e Veneto. Ma il ragionamento del Senatùr è più articolato, perché i consensi alla riforma federalista non si limitano all’asse Lombardo-Veneto e, spiega Bossi ai suoi, «non possiamo mica lasciare al loro destino chi ha creduto nel nostro progetto». Lo sguardo del leader del Carroccio - eloquente la cartina pubblicata ieri sulla prima pagina della Padania - è dunque puntato su tutte le 23 province che si sono espresse per il «sì» («un Paese nel Paese», le definisce nel suo editoriale il direttore del quotidiano del Carroccio Gianluigi Paragone). Che comprendono tutto il Piemonte orientale (Verbania, Biella, Novara e Vercelli) ma pure buona parte del Friuli Venezia Giulia (da Pordenone a Udine). Gli scenari, dunque, sono più d’uno.
Il Carroccio potrebbe puntare sull’ipotesi della macro-regione tra Lombardia e Veneto, a cui sarebbero ovviamente concessi poteri speciali. Una possibilità, quella della «fusione», contemplata dall’articolo 132 della Costituzione. «Con legge costituzionale - recita la Carta - si può disporre la fusione di Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse». L’ipotesi sarebbe stata discussa già lunedì sera, nella cena di Arcore tra Berlusconi e i vertici del Carroccio. Col passare dei giorni, però, si sarebbe iniziata a levare più d’una perplessità, soprattutto sul fronte Veneto perché, sintetizza un dirigente locale della Lega, «non vogliamo essere servi di Roma ma neanche di Milano». Insomma, è chiaro che se davvero si arrivasse alla macroregione, il ruolo predominante non potrebbe che spettare alla Lombardia. Così, si studia soprattutto la strada di un «autonomismo spinto». Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, infatti, prevede che «condizioni particolari di autonomia» su moltissime materie possano esser attribuite «su iniziativa della Regione interessata» e con legge «approvata dalle Camere a maggioranza assoluta».
Per quanto riguarda le province di Piemonte e Friuli che si sono pronunciate per il «sì» - esclusa l’ipotesi di proporre un referendum per far diventare il Piemonte orientale una regione a sé (non si arriva al milione di abitanti richiesti dalla Costituzione) - la via potrebbe essere quella prevista dal secondo comma dell’articolo 132: la richiesta di annessione delle province in questione alla Lombardia (per quelle piemontesi) o all’eventuale macroregione di cui si è parlato nella cena di Arcore, strade percorribili con referendum provincia per provincia.

D’altra parte, proprio in questi giorni la commissione Affari costituzionali della Camera è impegnata in un parere sul distacco del comune di Lamon dal Veneto e sulla sua aggregazione al Trentino Alto Adige. Distacco già sancito il 31 luglio 2005 con un referendum che ha visto arrivare i «sì» quasi all’80 per cento. «Una strada - spiega un deputato veneto - che sono pronti a seguire anche in Valcamonica e ad Asiago».

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