Botte alla bambina, madre manager in cella

«Egocentrica», la definiscono i giudici. Donna in carriera e benestante, tanto da vivere la maternità «come completamento della sua personale scala di successi (matrimonio, lavoro, prima casa)». Poi, qualcosa è cambiato. Perché, alle prime difficoltà sul lavoro, ha riversato la frustrazione «nella cura della sua neonata», divenuto così oggetto dalla «rabbia e dell’aggressività» della madre. Per questo, la Corte di Cassazione le ha negato ieri la semilibertà. L’imputata, condannata a sei anni di reclusione (tre dei quali coperti dall’indulto), aveva infatti chiesto di essere affidata ai servizi sociali. Ma la suprema Corte ha stabilito che dovrà restare in carcere.
La giovane madre era accusata di aver maltrattato e riempito di botte la piccola di pochi mesi, con la complicità del marito, tanto da «procurarle lesioni gravissime» e «danni permanenti». Già nel novembre scorso, il tribunale del Riesame non aveva accolto la sua richiesta di affidamento in prova, rilevando come un simile comportamento non fosse addebitabile ad «eventuali situazioni di emarginazione sociale o di disoccupazione» e che, dal processo, era risultato che quella violenza era scatenata proprio dall’«egocentrismo» della donna.
Marta S. (36 anni) - avevano scritto i giudici di Milano, come ricorda la Cassazione nella sentenza 33770 - aveva un «atteggiamento sconcertante» finalizzato a «mimetizzare le proprie responsabilità, con una considerazione distaccata dei fatti, quasi che interessassero altra persona». Per questa ragione era stata esclusa una valutazione favorevole al suo inserimento in un percorso di «rieducazione» in quanto «la misura alternativa poteva essere vissuta ancora una volta in chiave di deresponsabilizzazione». La Cassazione, dunque, ha ritenuto «congruamente» motivato il «no» all’affidamento in prova.
«Nonostante lo stato di possidenza e il benessere economico», insistono ancora i giudici, la donna non aveva versato nemmeno una minima parte della provvisionale di centomila euro cui era stata condannata.

Unica apertura concessa dalla Corte è stato accogliere il parere della Procura della Cassazione, suggerendo ai magistrati di sorveglianza di valutare la concessione della semilibertà che consentirebbe alla donna di andare a lavorare rientrando la sera in cella.

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