Botti di fine d’anno: maxisequestro a Ostia

«Kamikaze», «Red Plum», «Fontana di Trevi», «Bengala Orchidea», «Cuckoo», «Rondò cinese», «Picchio», «Codino matto», «Cono diamante», «Cascata di bengala», «Pioggia scoppiettante». Nomi che appaiono, tutto sommato, rassicuranti, dietro i quali, però, si nascondeva una quantità impressionante di esplosivo capace di sbriciolare in pochi secondi un intero edificio di sette piani. Tremilacinquecento chilogrammi di fuochi d’artificio illegali bloccati dalla Guardia di Finanza di Ostia. Oltre centottantamila pezzi sequestrati dal nucleo speciale dei baschi verdi tra il Lido di Roma, Torvaianica, Ardea e Fiumicino in questi giorni, per un valore commerciale di un milione e mezzo di euro e pronti per essere smerciati nei mercatini improvvisati per la fine dell’anno. Dodici le persone denunciate, fra le quali un cittadino cinese, per detenzione di materiale esplodente, «artifizi pirotecnici di quarta e quinta categoria». Ovvero: fuorinorma e, soprattutto, pericolosi. «Un’attività - sottolinea il capitano Augusto Dell’Aquila, comandante della compagnia Ostia delle Fiamme Gialle - intesa soprattutto a scongiurare il pericolo di incidenti nella notte di San Silvestro, purtroppo molto spesso gravi». Le indagini dei finanzieri, avviate da settimane in vista delle festività natalizie, si sono concentrate sull’individuazione dei canali di rifornimento del mercato illegale, spesso alimentato da ingenti importazioni dalla Cina. Il metodo? La verifica degli standard di sicurezza secondo le norme vigenti in materia di «giochi pirotecnici». Manco a dirlo, etichetta a parte, quasi nessuno dei prodotti «Made in China» individuati poteva essere considerato innocuo. I test e le prove eseguite dagli esperti, in particolare, hanno appurato che i «fuochi» avevano un peso, una tempistica e una modalità di scoppio diversi da quanto consentito dalla legge. Un esempio? Alcuni di essi avevano un effetto esplosivo superiore a quanto previsto, altri un ritardo di scoppio (il tempo tra l’accensione e l’esplosione) di gran lunga inferiore a quello indicato nelle schede tecniche (false) di autorizzazione.

Insidioso il sistema architettato dai responsabili per ingannare i consumatori: ogni pezzo aveva una targhetta simile a quella originale riportante gli estremi del provvedimento legittimante la «libera vendita» pur non essendo mai stati autorizzati in Italia e non rientrando nella lista dei fuochi declassificati (che possono essere immessi in libera vendita in quanto non appartenenti alle categorie più pericolose).

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