Alberto Cantù
da Verona
La musica mantiene giovani e Pierre Boulez i suoi ottantanni compiuti di fresco non li dimostra nemmeno alla lontana. Entra in palcoscenico con passo marziale e calca il podio come se dovesse salire sul ring. Mette insomma subito in chiaro di essere un compositore (allievo fra gli altri di Messiaen e fra i maggiori musicisti doggi), un didatta (la Scuola di Darmstadt), il creatore dellIrcam, il centro di ricerca della Computer-Music di Parigi, uno studioso (da Debussy in avanti).
Niente direttore-divo, bensì un musicista totale «prestato» alla direzione per sciogliere i nodi compositivi di autori e brani che propone, radiografarli dopo averli messi in trielina e ben sgrassati, ridotti allosso di forma ed espressione, ripuliti da tradizioni stratificate per - da vero musicista contemporaneo - sottolineare, se ve ne sono, le premonizioni novecentesche e, quando siano meno evidenti, andarle a cercare.
Appunto il concerto (tutto esaurito) ascoltato ieri laltro al Teatro Filarmonico per lAccademia Filarmonica di Verona, la più antica accademia musicale del mondo, con la sua lussuosa passerella di grandi complessi e direttori: dallorchestra danese sotto la bacchetta di Temirkanov, alla Filarmonica di Londra con Jurowski, allOrchestra di Stoccarda con Norrington, a quella Nazionale di Francia con Kurt Masur. E, ciliegina sulla torta, i Wiener Philarmoniker, per la prima volta a Verona, in tournée con Boulez anche a Torino e Pisa.
Il programma è tutto sulla fine Ottocento e inizia con quella sorta di poema sinfonico nipotino di Liszt che è Notte trasfigurata, scritta nel 1899, ripensata per orchestra darchi nel 1917, più alcuni ritocchi del 43. Un lavoro desordio o quasi dove Arnold Schönberg, non ancora padre della dodecafonia ma figlio del tardo Romanticismo, oscilla tormentatamente fra Wagner e Brahms. L«operazione trielina» di Boulez che gli archi lucentissimi dei Wiener rendono ancora più strepitosa, vede terse sortite solistiche e un mahleriano, sfatto dolore, soprassalti e mancamenti, violenze e abbandoni, il doppio registro di oasi cameristiche e soprassalti sinfonici, musica-musica e musica atematica. Fino alla struggente dolcezza, alle trine sonore smateriate sul canto dei violini dellepilogo.
Laltro brano era la Settima Sinfonia di Anton Bruckner la quale, abitualmente, dura sui 65 minuti mentre con Boulez non va oltre i 50. Tale speditezza ci dice subito che per il musicista francese lusuale impostazione mistica della scrittura bruckneriana non ha ragion dessere. O meglio, si presenta come una sorta di spiritualità della materia sonora: unenergia primigenia che sfolgora negli ottoni con scossoni degni della Sagra della primavera di Stravinskij. Nelladagio una compostezza, unassenza di aloni, unarticolazione netta che sembrano quasi negare lomaggio funebre a Wagner morente.
Dallinizio, su un tremolo più soffice che mai, assenza di enfasi, temi distesi in tutta la loro semplicità (il primo è un semplice arpeggio), spigliati (il secondo), scorrevolissimi (il terzo).
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