LA BUFALA DEL REFERENDUM SUL CAVALIERE

Oggi si vota, tutti gli appuntamenti elettorali sono egualmente importanti. Il prossimo, referendum sulla legge elettorale e secondo turno delle amministrative, dimostrerà se la vittoria rotonda del centro destra il 6 e 7 giugno può arrivare fino a sottrarre alla sinistra gli ultimi storici baluardi. Dimostrerà anche se l’istituto del referendum nel nostro Paese è stato così tanto tirato per i capelli e logorato che gli italiani non ne vogliono più sapere, e quelle tre schede le rifiuteranno. Io mi auguro che così non sia, un «sì» che desse il premio di maggioranza al primo partito ci porterebbe ancora più vicini alla certezza della governabilità, e ne avremmo un gran bisogno per liberarci dai metodi corsari e ricattatori che hanno sostituito la battaglia politica, ma inutile sarebbe negare che i partiti tutti non hanno fatto alcuna campagna di informazione sui quesiti dopo averne tanto strombazzato all’atto della raccolta delle firme tanto i vantaggi quanto gli svantaggi. Assistiamo a dichiarazioni di voto o astensione del tutto personali, difficile raggiungere un quorum con questo metodo di ordine sparso.
Ma quel che di sicuro oggi non accadrà è quel che l’opposizione si augura, lascia intendere, già contrabbanda per possibile, già si prepara a fingere per vero, insomma non si vota oggi per stabilire se l’attacco furibondo alla vita privata del presidente del Consiglio abbia sortito i risultati sperati e attesi nell’elettorato. Non è così per almeno due ragioni. La prima e fondamentale è che le elezioni amministrative sono state già un trionfo per il centro destra nel primo turno che si è tenuto insieme alle elezioni europee, e non sarà il ballottaggio a sminuirne la portata, anche perché si torna alle urne in comuni e province che sono sempre state un feudo del centro sinistra. Per argomentare autorevolmente come sia andata due settimane fa citerò un articolo del 9 giugno de La Repubblica. «Amministrative tristi per il centrosinistra. Di cinquanta province, gliene restano solo quattordici; il centrodestra sale a quota 26 (ne aveva appena 8 più una della Lega), altre ventidue, comprese Venezia e Frosinone, vanno al ballottaggio. È il verdetto delle elezioni provinciali: un mezzo disastro per il centrosinistra che potrebbe salvarsi solo portando a casa la maggior parte dei faccia a faccia fra due settimane. Ma la sconfitta è evidente anche perché i 15 ribaltoni sono tutti a favore dell’altra parte. Le province in ballo erano 62: 50, si diceva, amministrate dal centrosinistra, 9 dal centrodestra e tre, di nuova costituzione, che votavano per la prima volta. In Abruzzo, Campania e Lombardia la maggior parte dei ribaltoni a favore dei partiti del centrodestra. Il centrosinistra regge abbastanza bene nelle roccheforti di Emilia e Toscana e riesce a ottenere un difficile ballottaggio a Milano. A Napoli una sconfitta largamente annunciata». Aggiungiamo noi che sono andati al centro destra nove Comuni capoluogo contro i cinque degli avversari. È dunque già un evento che si debba tornare al voto in città come Bologna e Firenze, Padova e Bari, in province come Milano, che il centrosinistra si trovi in difficoltà in zone storicamente amiche, come Umbria e Marche, che in Puglia si debba sperimentare nientemeno che un’alleanza tra Pd e Udc di Casini per aumentare i numeri.
La seconda ragione per la quale il voto di oggi e domani non sarà un plebiscito sui vizi privati tutti da dimostrare del premier, e nemmeno sulle capacità paranormali di un paparazzo di scattare foto impunemente per anni di una residenza che avrebbe dovuto essere protetta, sta proprio nella natura delle elezioni amministrative, come dice la parola.

Si sceglie la persona che governerà la tua città o la tua provincia, che volete che abbia il governo di una città a che fare con Patrizia, Barbara, o comunque si chiamino le fanciulle che vanno in giro sempre munite di videoregistratori? Con una eccezione, bisogna ammetterlo, che è proprio Bari, la città di Patrizia e le altre, ma anche la città di alcuni magistrati così solerti e sodali di Massimo D’Alema da fare tenerezza, la città dove si rielegge o no il sindaco, Michele Emiliano, ex pubblico ministero nientemeno che dell’inchiesta Arcobaleno, soldi nei Balcani, che toccò il D’Alema medesimo.
Là il Pd spera dichiaratamente nell’effetto Patrizia. Là i baresi hanno l’occasione per dimostrare che la politica non si fa così.

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