Le buone ragioni per leggere il libro di Paternostro

Le buone ragioni per leggere il libro di Paternostro

Guardi la copertina e sei a casa: l’ascensore di Castelletto su corso Podestà, uno scorcio di Genova, un’ombra che si allunga su un pallone in movimento. La foto, in bianco e nero, è di Francesco Chiossone. «Troppe buone ragioni. Il commissario Falsopepe e il caso del bambino rapito» di Mario Paternostro (edizioni il Melagolo) è un giallo ambientato a Genova, nel quartiere di Castelletto, e segna l’ingresso ufficiale di un giornalista poliedrico come Paternostro nel genere thriller. Di classe. E l’esordio di un commissario perbene. In effetti ci sono davvero molte (mai troppe) buone ragioni per leggere questo romanzo, che ha tutti gli ingredienti del genere: personaggi calibrati, colpi di scena ben assestati, una storia scabrosa solo all’apparenza e una scioltezza narrativa che ricorda da vicino i gialli di Fruttero e Lucentini, e anche di certo Ammaniti, nel mischiare con maestria la tensione degli eventi stemperandoli nell’humor che suscitano certi personaggi di contorno, mai banali, bensì efficaci nel disegnare una certa Genova da cèti (pettegolezzi come solo qui li sappiamo fare). Vedi la signorina «Arcadia Episcopo, nubile», intrigante e malpensante che «aveva una voglia incontenibile di sputtanare ... la vicina giovane e magari graziosa».
Ferruccio Falsopepe è il capo della Mobile che si trova ad indagare sul rapimento di un bambino, pargolo di una famiglia in vista dove forse qualcuno ha qualche segreto di troppo.
Ma quali ragioni ci sono per arrivare a rapire un bambino? «Troppe buone ragioni», pensa evidentemente il commissario Falsopepe che tra la pressione giornalistica (che l’autore ben conosce e descrive), e quella dei superiori («Puntuale come un mal di pancia dopo una dozzina di ostriche, il questore convocò con urgenza... Falsopepe nel suo ufficio») cercherà di venire a capo di un mistero ignobile come quello del rapimento di un minore. In una Genova estiva che non riesce a dimenticare l’affronto del G8 del 2001 (sono gli ultimi giorni di luglio) la notizia piomba in Questura da un fantomatico commissariato di Castelletto. Il resto è tutto realistico e plausibile. È la vigilia della visita del ministro dell’Interno per rinnovare le celebrazioni del G8 del 2001 («Cosa ci fosse da celebrare non si sa...») e la polizia deve avere le risposte. Per darle. Paternostro mostra una straordinaria abilità narrativa che inchioda il lettore fino all’ultima pagina, indagando nella personalità dei suoi personaggi, rendendoli vivi, conferendo loro tratti di autentica viscerale simpatia. E tutto ciò senza ricorrere all’aiuto fin troppo praticato dello spargimento di sangue, della violenza gratuita o del sesso didascalico.

Non gli serve: il lettore si appassiona alle indagini palpitando per il ragazzino, strizza l’occhio al flirt che fa vacillare l’ineffabile pm Silvia Conti (che va a lezione di tango argentino), e sobbalza per quei colpi di scena ben assestati che pescano anche in una storia lontana.
«Troppe buone ragioni» di Mario Paternostro, Ed. Il melangolo, 226 pagine, 15 euro

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