nostro inviato a Bruxelles
Si sarebbe dovuto chiudere oggi, ma probabilmente si slitterà a domani. Con le audizioni del Parlamento Ue ai sei vicepresidenti esecutivi della futura Commissione guidata sempre da Ursula von der Leyen che a ieri sera sembravano destinate a essere aggiornate a mercoledì. Una sospensione del giudizio che riguarderebbe quattro dei sei candidati vice, tra cui Raffaele Fitto, la spagnola Teresa Ribera e il francese Stéphane Séjourné. Con l'italiano - attuale ministro degli Affari europei - che è nel mirino del gruppo socialista di S&D, contrario a concedere una carica di peso come la vicepresidenza esecutiva a un esponente dei conservatori di Ecr, che non fanno parte della maggioranza Ppe-S&D-Renew-Greens che a giugno ha dato il via libera al bis di von der Leyen. Il nodo, dunque, è tutto politico e non riguarda il giudizio sulle competenze di Fitto a occuparsi delle sue deleghe (coesione e riforme, con la supervisione su pesca, trasporti, turismo e agricoltura).
Insomma, oggi (e molto probabilmente anche domani) a Bruxelles si giocherà una partita a incastri. Ma che ha due epicentri. Il primo: S&D vorrebbe boicottare la vicepresidenza esecutiva di Fitto, una storia democristiana ma oggi esponente di spicco dei conservatori di Ecr (per cui va bene come commissario, ma non come vice). Il secondo: il Ppe, nella persona del suo presidente Manfred Weber, sostiene decisamente Fitto da tempo, ma dopo la drammatica alluvione di Valencia è sugli scudi contro Ribera, considerata dai popolari spagnoli una delle principali responsabili della tragedia per le sue politiche ultra-ambientaliste che, sostiene il Partido popular, in nome di un «approccio ecologico e pulito» l'hanno portata - da ministra della Transizione del governo di Pedro Sanchez - a non dragare i fiumi iberici.
La verità è che a Bruxelles le questioni sono strettamente legate, in una logica a pacchetto che tiene tutto insieme o, in alternativa, fa saltare il banco. Che il voto delle Europee di giugno abbia spostato gli equilibri del Parlamento Ue verso destra non è un mistero, come pure che le elezioni degli ultimi anni nei singoli Paesi dell'Unione abbiano cambiato l'approccio del Consiglio Ue su diversi dossier. A questo vanno aggiunte la crisi dell'Spd in un Paese chiave come la Germania e la vittoria di Donald Trump. Insomma, è nelle cose - ed è noto da tempo, bastava leggere il documento finale del congresso del Ppe di Bucarest di marzo - che von der Leyen voglia coprirsi a destra. Su diversi temi, a partire da immigrazione e Green deal. Ma i socialisti di S&D continuano, legittimante, a opporsi. Con il sostegno silenzioso del Pd, che del gruppo dei Socialisti è la prima delegazione in quanto a numero di eurodeputati.
Non un dettaglio. Su cui è pronta a puntare il dito Giorgia Meloni, convinta che se alla fine dovesse saltare Fitto - ipotesi che a Palazzo Chigi considerano altamente improbabile - la responsabilità sarebbe tutta di Elly Schlein e del suo «silenzio contro l'interessi nazionale» di avere una vicepresidenza esecutiva Bruxelles. Sul punto, Meloni è pronta ad aprire una campagna pubblica permanente. Come pure, nel caso che Fitto venga davvero bocciato, è decisa a bloccare la formazione della nuova Commissione per almeno quattro mesi, semplicemente non esprimendo un nome alternativo. Tutte questioni di cui di cui la premier ha parlato giorni fa a Budapest con Emmanuel Macron, invitandolo a trovare un punto di caduta comune.
Che potrebbe essere il via libera oggi a Fitto e al francese Séjourné lasciando slittare Ribera a domani. Così che il Ppe - prima di dare il via libera alla spagnola, che per le sue deleghe è di fatto la numero due di von der Leyen - possa tenerla sulla graticola 24 ore in più.
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