Bush: «Spero che Parigi invii più soldati in Libano»

Hezbollah: «Il nostro disarmo è una questione interna, che va discussa solo tra i libanesi»

Glissa ma una speranza concreta c’è. Il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, parlando a Camp David con alcuni giornalisti, ha lanciato un chiaro messaggio al governo di Parigi, evitando abilmente ogni accenno al presunto disimpegno militare francese. «La Francia ha già messo a disposizione truppe - ha detto il presidente dopo un vertice con i suoi ministri economici - e spero che invii più effettivi in futuro». Anzi, rispondendo alla domanda di uno dei cronisti presenti, il presidente degli Stati Uniti ha parlato di «diversi segnali» in questo senso. La Francia, infatti, che fino a questo momento ha messo a disposizione solo 200 soldati, avrà il delicato compito di guidare il contingente composto da 15mila caschi blu, che sorveglierà la fragile tregua fra Israele e Hezbollah.
Proprio per questo il presidente ha voluto usare parole propositive e far capire a chiare lettere che, nonostante la decisione di Parigi di inviare per adesso un numero di militari inferiore alle aspettative, con gli Stati Uniti c’è un filo diretto. Bush ha infatti dichiarato: «Stiamo lavorando con la Francia, che è un Paese amico, un alleato e che ha detto con molta chiarezza di credere nella grande importanza della democrazia in Libano e svolgerà un ruolo di primo piano nel futuro di questo Paese». Parole che sembrano avere il compito di fugare ogni dubbio e polemica e sottolineare la cooperazione fra Washington e Parigi sulla questione libanese.
Altrettanto chiare sono state le critiche rivolte ai guerriglieri di Hezbollah, che Bush non ha esitato a definire «una forza di instabilità», estremisti appoggiati economicamente e nei loro progetti da nazioni come la Siria e il Libano.
Non solo. Il presidente Usa ha anche dichiarato che al «Partito di Dio» servirà tempo per rendersi conto della sconfitta subita. «La prima reazione di Hezbollah e dei suoi sostenitori - ha detto - è stata ovviamente quella di dichiarare vittoria. Credo che al loro posto avrei fatto la stessa cosa. A volte serve tempo perché le persone capiscano a mente fredda quali forze servano a promuovere la stabilità e quali non lo facciano».
Ed Hezbollah ieri è tornato a farsi sentire, gettando nuove inquietanti ombre su quella tregua a cui tutta la comunità internazionale guarda con il fiato sospeso. In un’intervista al quotidiano di Beirut Daily Star, un deputato del «Partito di Dio», Hajj Hassan ha dichiarato che le armi di Hezbollah «fanno parte della strategia di difesa nazionale, che deve ancora essere discussa».

Una frase che lascia pochi dubbi, specie se si tiene conto di quello che l’uomo politico ha detto subito dopo definendo la questione del disarmo, «un affare interno che dovrebbe essere discusso da libanesi».
Hassan ha comunque escluso il pericolo di scontri intestini nel Paese perché «i libanesi sono troppo coscienti e troppo scaltri per farsi attirare da alcune parti in una guerra civile».

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