C'è intesa tra Pdl e Lega: il governo va avanti Il Carroccio vuole costringere Fini a dimettersi

Bossi reagisce all'attacco arrivato da Perugia blindando l'asse con Berlusconi. Il governo va avanti: federalismo entro Natale. E il cerino torna in mano a Fini. Il Carroccio vuole costringere Fini alle dimissioni: "Con la richiesta di crisi ha violato l’autonomia delle Camere" BLOG Fini, l'extraparlamentare di A. Taliani

C'è intesa tra Pdl e Lega: il governo va avanti 
Il Carroccio vuole costringere Fini a dimettersi

Roma - Quando, dopo Mirabello, Lega e Pdl hanno chiesto le dimissioni di Fini, come risposta si sono sentiti dare degli «analfabeti e ignoranti costituzionali» dal leader Fli. Allora, nella Lega, si sono dato allo studio matto e disperatissimo, scartabellando i testi di Diritto costituzionale per trovare la chicca giuridica: il presidente della Camera può essere sfiduciato e dimissionato dall’assemblea, se non rispetta più il suo ruolo di garanzia. Lo dicono giuristi illustri, e nemmeno leghisti. «Già molti anni or sono insigni costituzionalisti quali Giovanni Ferrara, e più recentemente Antonella Sciortino, hanno elaborato lunghe e circostanziate analisi relativamente alla possibilità di sfiduciare il presidente di una delle due Camere - spiega il senatore della Lega Paolo Franco, autore della ricerca giurisprudenziale della Lega Nord - dai testi emerge chiaramente come “oltre a garantire il corretto svolgimento dei lavori camerali i presidenti delle due Camere devono astenersi dal compimento di atti che potrebbero provocare l'alterazione dei rapporti di forza decisionale e politica presenti in Parlamento”».

È vero, ed è la tesi difensiva dei finiani, che né i regolamenti delle Camere né la Costituzione prevedono espliciti strumenti di sfiducia per i presidenti delle due Camere. Ma questa assenza, ed è l’argomento leghista in punta di diritto, «non è sufficiente per rivendicare l’inamovibilità dall’incarico assunto». E infatti i costituzionalisti ammettono eccome quell’eventualità, perché la funzione di «rappresentanza politica» ricoperta dal presidente della Camera non può essere solo formale, ma anche nella «non ingerenza degli equilibri che coinvolgono maggioranza ed opposizione». Uno dei testi presi in esame dalla Lega Nord per «mandare a casa» Fini è Il presidente di assemblea parlamentare, autore Giovanni Ferrara, uno dei più noti costituzionalisti italiani, già professore emerito all'Università «La Sapienza».

Lì Ferrara scrive che «se è vero che i regolamenti delle due Camere non contengono indici specifici che consentono di inquadrare la responsabilità del presidente (...) è altrettanto vero che non escludono l’uso di alcune procedure allo scopo di individuare atti incompatibili con la carica di presidente di Assemblea». Che genere di atti? Tutti quelli che mettono in dubbio la sua «neutralità rispetto agli interessi politici che si contrappongono nei rapporti tra i vari gruppi». Questo perché «il carattere neutrale delle attività del Presidente - scrive il giurista - comporta che i suoi atti non debbano, né direttamente né indirettamente, provocare alterazione o modificazioni dei rapporti di forza decisionale politica stabiliti tra i vari gruppi parlamentari». E poi il punto decisivo: «Il presidente della Camera, per esercitare le sue funzioni, deve far leva sulla collaborazione e, soprattutto, sulla fiducia di tutti i gruppi presenti nella Camera cui è preposto». Cosa che, nel caso di Fini, non si realizza affatto. In quel caso Ferrara ammette la possibilità che la Camera «possa risolvere il rapporto rappresentativo», attraverso «una pronuncia che suoni sfiducia al presidente stesso, imponendogli le dimissioni».

È questo a cui pensa la Lega Nord, perché «l’ingresso del presidente della Camera nell’arena politica, con la formazione di un nuovo gruppo parlamentare che fa capo a lui, lede evidentemente l’autonomia del Parlamento», spiega il senatore Franco.

La tesi è confortata anche dagli studi di Antonella Sciortino, ordinaria di Diritto costituzionale all’Università di Palermo, che pur evidenziando la carenza in dottrina di evidenze circa la «responsabilità politica» del presidente della Camera, scrive che «questo non significa che qualora il suo operato non dovesse essere più percepito come equidistante tra le parti contendenti, il collegio non avrebbe alcun modo per far sentire il proprio dissenso, o che lo stesso presidente non possa verificare la costanza del rapporto che lo lega all’assemblea, chiedendo alla stessa di pronunciarsi sul suo operato o presentando le dimissioni, quando dovesse percepire insanabili fratture col collegio stesso». E Fini, dicono nella Lega, a questo punto dovrebbe aver percepito le fratture con Pdl e Lega, che volentieri voterebbero la sfiducia al presidente della Camera. Se solo gliela chiedesse.

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