A caccia di Majorana. "L'atomo inquieto" che scelse di sparire

Che fine ha fatto? È quasi un'ossessione. Mimmo Gangemi per anni è stato lì a rimuginare su questa domanda, con l'idea magari di incarnare, pagina su pagina, la vita e le opinioni di uomo che è un mistero, una leggenda

A caccia di Majorana. "L'atomo inquieto" che scelse di sparire

Che fine ha fatto? È quasi un'ossessione. Mimmo Gangemi per anni è stato lì a rimuginare su questa domanda, con l'idea magari di incarnare, pagina su pagina, la vita e le opinioni di uomo che è un mistero, una leggenda, un genio di quelli che l'umanità vede raramente, un'anomalia, un divergente, uno che faceva i conti su tutto e faticava a farli con i suoi demoni, da sotterrare, da nascondere, fino a lasciarli andare tutti insieme, perché non riusciva a vivere senza di loro.

Ci vuole coraggio per scrivere, dopo Sciascia, un romanzo che porta in scena Ettore Majorana. Gangemi non ha paura, perché ha imparato a riconoscere le voci, le tante voci, di Majorana, quelle che si rincorrono nelle sue sette vite e si portano dietro quella pagina incerta che è il confine della sua biografia, la notte tra il 26 e il 27 marzo del 1938, la notte della scomparsa. Le voci parlano e stanno nella testa di Ettore, anche quando non ricorda più quale sia il suo vero nome, quando per troppo tempo si è detto l'io è un altro, quando ha cancellato le sue tracce, senza più sapere quale luogo avrebbe mai potuto chiamare casa. «A chi vuoi darla a bere? Ma quale suicidio e suicidio. Quale prima e seconda occasione. È tutto un teatrino. Lo sai tu e lo so io. Non ha mai avuto intenzione di affogarti in mare. Ne ero così sicuro che neanche t'ho dato la confidenza di affrontarti all'andata, quando guardavi le acque e ti dicevi pronto al grande rifiuto. Stai ingannando te stesso». È Torè, la voce di dentro che agita l'anima di Ettore.

È un grande romanzo L'atomo inquieto (Solferino, pagg. 311, euro 18,50). È un Majorana mai raccontato. È tutto quello che c'è oltre la Sicilia, oltre la famiglia, oltre la magia della matematica, oltre la capacità di far sentire Enrico Fermi un fisico qualunque, oltre i ragazzi di via Panisperna. È un Majorana senza santità, umano troppo umano, che rinuncia a decifrare l'enigma dell'universo, perché sta perdendo se stesso.

Che fine ha fatto? Gangemi sposa la tesi della procura di Roma, che per quattro anni, fino al 2015, indagò sulla scomparsa di Ettore. Il più freddo dei casi freddi, ma che fissa punti sostanziali, con una manciata di prove, fotografiche e non solo. Non è il suicidio. Non è l'omicidio. Non è il finale di redenzione che evoca Sciascia. Non è la pace dello spirito. Majorana era vivo tra il 1955 e il 1959 e si trovava in Venezuela, nella città di Valencia, con una falsa identità e il cognome Bini. E prima? E stato uno scienziato al servizio di Hitler, in corsa contro il tempo per costruire l'arma definitiva, la bomba capace di vincere la guerra. E stato un paziente in un sanatorio altoatesino, precario rifugio per ex nazisti braccati. È stato appunto un tecnico di laboratorio in Venezuela, dopo essere arrivato in Sud America in compagnia di Adolf Eichmann. E poi è tornato di nuovo in Italia, ha attraversato altri luoghi e altre identità, fino a non averne alcuna se non quella di un disperato che campa di poco e niente in terra ionica: come a voler espiare, facendosi fantasma in vita, i troppi errori di troppe reincarnazioni.

Lo seppelliranno

alla marina e di lui, scomparso nel '38, non rimarrà traccia. «Ti stai guastando. Il tempo ti ha conciato male. Se occupi la mente con gli studi vedrai che ti rimetti in forma. Prendi le parole di chi ti conosce bene. Torè».

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