Cacciari vuol affondare il Mose (e il miliardo di euro già speso)

Il sindaco chiede al governo di sperimentare opere alternative

Stefano Filippi

nostro inviato a Venezia

Doveva essere un consiglio comunale «storico», la seduta che doveva bloccare i lavori del Mose, il segnale che la sinistra radicale di verdi e Rifondazione sta dettando la linea anche a un sindaco come Massimo Cacciari e a un’amministrazione come quella di Venezia, dove la Margherita potrebbe tranquillamente governare da sola. È stata invece la riunione delle mezze parole e delle mezze decisioni. Il consiglio comunale aveva un solo punto all’ordine del giorno, la salvaguardia di Venezia. Doveva sancire che, come ha detto il verde Gianfranco Bettin, «è ora di cambiare in tema di ambiente».
È finita con un ordine del giorno votato a tarda sera dalla maggioranza di centrosinistra che dice tutto e il suo contrario. Il sindaco chiederà al governo di verificare il progetto delle barriere mobili attraverso una sperimentazione di opere alternative che non si sa quanto potrebbe durare. Cacciari sostiene che questo non significa bloccare i lavori. Ma il neosenatore ds Felice Casson, che avrebbe preferito una mozione più decisa, la interpreta come «una moratoria sostanziale dei lavori». L’ex ministro Tiziano Treu (Margherita) parla di «verifica senza pregiudizi da nessuna parte, tenendo conto che la priorità è la difesa di Venezia da eventi eccezionali». Bettin invece specifica che «è già importante riaprire il dibattito sul Mose». Lasciando capire che è come aprire una crepa in una diga: il crollo è questione di tempo.
La mozione votata dal centrosinistra veneziana è tutta un equilibrismo. Alla vigilia sembrava che le mozioni in cantiere fossero addirittura sette, il che dava la misura delle divisioni nella maggioranza. La Margherita, favorevole al Mose dai tempi del primo governo Prodi e addirittura schieratissima con l’ex sindaco Paolo Costa, si limitava appunto a una «verifica» del progetto. Il sindaco invece voleva affondare le paratie che dovrebbero alzarsi a sbarrare la laguna in caso di acqua alta.
Già l’anno scorso in campagna elettorale, per strappare qualche consenso all’ala massimalista della sinistra, Cacciari aveva annunciato l’intenzione di rimettere in discussione le decisioni prese dal governo. Nei giorni scorsi il sindaco ha parlato di «revisione» del progetto Mose: e rivedere non è un semplice verificare. Anche ieri, in ripetuti interventi, ha parlato di opere alternative, di sperimentazione, di controllo del piano finanziario, di «chiarezza sul cronoprogramma». Una cosa Cacciari l’ha ottenuta: la compattezza tra Ds e Margherita, a prezzo di una mozione all’acqua di rose. Che Sebastiano Bonzio, unico consigliere di Rifondazione, non ha votato: «Se Cacciari voleva davvero invertire la rotta sul Mose con una posizione chiara e senza equivoci - ha spiegato - avrebbe parlato di interruzione dei lavori e di revisione totale del progetto».
Aprendo una seduta tesa, interrotta frequentemente dalle proteste dei movimenti «no Mose» che manifestavano nell’aula di Cà Farsetti e all’ingresso del palazzo, Cacciari ha fatto un discorso abile. Le opere fatte finora in tre anni (barriere protettive, rinforzo dei fondali, conche di navigazione: un quarto del progetto complessivo) non sono da buttare via e potrebbero essere utilizzate anche per soluzioni alternative al Mose, costoso (4.100 milioni di euro), lungo da realizzare (operativo nel 2012) e non del tutto finanziato (finora è coperto per il 38 per cento). Dunque, ha argomentato il sindaco, è il momento giusto per «un’autentica verifica» senza compromettere il proseguimento dei lavori.
La mozione votata ieri sera affida a Cacciari il mandato di rappresentare queste istanze al Comitatone, l’organo presieduto dal presidente del Consiglio incaricato della salvaguardia di Venezia.

Ma si è già capito quale sarà l’orientamento del governo: proprio ieri, uscendo dal conclave di San Martino, il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, ha detto che il Mose è una priorità assoluta. Cacciari dovrà spolmonarsi per farsi sentire. Intanto ha tenuto insieme una maggioranza litigiosa.

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