Il calcio nel dna, Manolo e Melania i fratelli del gol di casa Gabbiadini

Manolo Gabbiadini, vent’anni ancora da compiere, ha messo piede in seria A a soli 18 anni e 4 mesi il 14 marzo 2010, in occasione della partita, persa dall’Atalanta, contro il Parma, subentrando nel 2° tempo al compagno di squadra Tiribocchi. Attaccante completo, considerato in grado di giocare in diverse posizioni, grazie anche alle qualità atletiche (una certa somiglianza con lo spagnolo del Chelsea, Fernando José Torres Sanz), dopo aver militato nelle giovanili dell'Atalanta e una stagione in prestito nel Cittadella, in serie B, si è segnalato prestissimo quale giocatore talentuoso, tanto d'essere stato indicato da Sky per concorrere al titolo di miglior giocatore dell'anno. Inoltre, vanta numerose presenze nelle Nazionali Under 20 e 21, e molti gol messi a segno soprattutto grazie ad un preciso e micidiale sinistro.
In questo sorprendente avvio di campionato dell’Atalanta, dopo uno spezzone nella vittoriosa trasferta a Lecce, è sceso in campo dal primo minuto nella gara casalinga contro il Novara (vinta dai nerazzurri per 2 reti a 1) che ha proiettato i nerazzurri virtualmente al comando della classifica, se non ci fosse la penalizzazione di 6 punti, inflitta a causa dei pasticci legati al calcio scommesse.
La vicenda di Manolo è particolarmente curiosa, perché egli non è il solo campione di famiglia. La sorella Melania, classe 1983, infatti, dopo aver militato nel Bolgare e nell'A.C.F. Bergamo in serie B, dal 2004 è la goleador del Bardolino Verona, con cui ha conquistato ben 3 scudetti, 2 Coppe Italia, 3 Supercoppe Italiane, e da anni è titolare fissa della Nazionale femminile.
Manolo ha cominciato presto a dare calci al pallone. «Ho iniziato che non avevo ancora 7 anni nella squadra del mio paese, Bolgare, dove sono rimasto 3 anni. In seguito sono passato nelle giovanili dell'Atalanta. Una passione per il calcio sempre respirata in famiglia. Già mio padre aveva militato nei campionati dilettantistici ed il pallone è sempre stato presente in casa. Non c’era partita in tv che non venisse seguita. Naturale che abbia iniziato ad appassionarmi fin da piccolo. E poi andavo a vedere le partite giocate da mia sorella Melania».
Curioso il fatto che i due fratelli giochino nel medesimo ruolo. «Sì, può sembrarlo, ma, in realtà è puramente casuale. La verità è che prima volta che mi sono recato al campo di calcio, mi sono portato dietro i guanti da portiere, perché quello era il ruolo che volevo ricoprire. Mio padre era un portiere ed io ero convinto che lo sarei stato anche io, esattamente come lui. Invece è andata che non appena mi hanno guardato, mi hanno spedito a giocare in attacco! Io avevo talmente voglia di giocare che non ho obiettato ed ho ubbidito, abbandonando subito i guantoni».
Saggia decisione, visto che la carriera del giovane Gabbiadini è stata un’ascesa irresistibile e subito i tecnici si sono resi conto di avere a che fare con un talento, oltre che con un ragazzo con la testa sulle spalle (anche se, dopo un paio d'anni nelle superiori, ha abbandonato i libri).
«Non mi giudico affatto un talento. Ho talmente ancora tanto da imparare e dimostrare che non ritengo affatto d'essere arrivato. Certo, mi capita di leggere sui giornali la considerazione degli altri, che spesso mi definiscono così, ma, molto semplicemente, cerco di non farci caso. Sono conscio di quanta strada abbia ancora da fare e di quanto ancora possa e debba imparare, quindi cerco di non montarmi la testa. Contro il Novara per la prima volta sono stato schierato dall’inizio. È stato bello. Mi sentivo bene, avevo voglia di giocare ed ero abbastanza carico. Desideravo giocare in quello stadio dove da piccolo andavo a seguire le partite e fare il tifo. Certo, da protagonista, davanti ai nostri tifosi, è un’altra sensazione, ma, a dire il vero non è che fossi particolarmente emozionato, rispetto ad altre occasioni. Avverto sempre un po’ d’ansia prima di una partita, anche se si tratta di un’amichevole: sono fatto così, ma riesco a controllarla, la conosco e mi serve per caricarmi. I miei obiettivi? Quello che oggi conta è la salvezza della squadra e direi che ci sono tutti i presupposti per raggiungere questo traguardo; perciò ora come ora m’interessa fare bene per la mia squadra. Tutto quello che verrà dopo, se verrà, sarà tutto trovato. Fin da quando ero piccolo ho sempre tifato Atalanta; andavo a vedere anche gli allenamenti. Giocare da titolare nella mia squadra è la realizzazione di un sogno».
Dal campo a casa: come si gestisce la famiglia Gabbiadini con due campioni? «Mah, per me è una cosa normale. Devo dire, però, che mia sorella in casa si vede poco, visto che gioca lontano.

Comunque una risposta precisa la potrebbe dare solo mio padre». Che, da bravo genitore, assicura che non ci sono preferenze. Da ex portiere ha allevato due attaccanti: una femmina e un maschio, giusto per non sbagliare.

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