Il calcio può saltare per colpa di una tv porno «Conto Tv» vive di film a luci rosse, ma ha chiesto al Tar la sospensione del contratto firmato dalla Lega Calcio con Sky Entro lunedì la sentenza: se il giudice accoglie il ricorso persi 1149 milioni. E

Un anno senza telecronache, processi, moviole, baruffe chiozzotte. Un anno senza partite di calcio. Un anno senza Inter e Milan, Juventus, Roma e compagnia cantando. Pura fantascienza, direte, figuriamoci poi in un paese ad alto tasso tifoideo come il nostro. Ma sarà così se il Tribunale di Milano, accogliendo le ragioni di Conto Tv, sospendesse il contratto televisivo della Lega Calcio con Sky. Un contratto pari a 1.149 milioni (571 nel 2010-’11 e 578 nel 2011-’12) che a suo tempo ebbe il via libera dall’Antitrust. A ore la sentenza. Nell’udienza di venerdì scorso l’emittente porno (già perché Conto Tv, ex Superpippa Channel, vive di film hard) ha chiesto la cancellazione dell’accordo «per mancanza di concorrenza nel pacchetto del digitale satellitare, dato integralmente a Murdoch». In ballo la sopravvivenza del calcio italiano che potrebbe chiudere i battenti a tempo indeterminato se dovesse fare a meno dei quattrini legati alla vendita dei diritti televisivi. Le società si ritroverebbero senza paracadute nei rapporti con le banche, prive di garanzie, impossibilitate a scontare o cartolarizzare i contratti. Sul tappeto resterebbero solo quei club che contano sulla generosità dei rispettivi patron e azionisti: la Juventus di Casa Agnelli, il Milan di Berlusconi (e poi, e poi), l’Inter di Moratti, forse la Samp di Garrone, il Palermo di Zamparini, la Fiorentina di Della Valle. Ma gli altri? Come potrebbe reggersi la Roma partecipata quasi integralmente da una holding in debito di oltre 300 milioni con le banche? E quali club sarebbero in grado di restituire a Sky l’anticipo di 28,5 milioni, pari al 5% dell’accordo con la Lega? I soliti noti, e anche con fatica. Sono in fibrillazione perfino gli istituti di credito che sono esposti alla grande con il calcio.
Si profila una visione apocalittica con un effetto domino tracimante. Innanzi tutto per la fine del sistema assistenzialistico che esiste solo a casa nostra in misura così cospicua. La Serie B, al lumicino delle risorse economiche e in cronico ritardo sul pagamento degli stipendi, perderebbe quei 70 milioni che significano ossigeno puro. Alla Lega Pro verrebbero a mancare 14 milioni, ai Dilettanti una decina. Dal mercato arriverebbe poco o niente. Addio valorizzazione di giovani e meno giovani. Il problema non è solo sportivo. Come dimenticare la ricaduta sociale di un fenomeno che coinvolge oltre la metà della popolazione e comporta quotidianamente problemi di ordine pubblico? Il presidente della Lega Beretta ha già avuto modo di rappresentare i rischi di un simile scenario al mondo politico. Del genere la magistratura vada avanti in piena autonomia. Ma il calcio, dopo aver abbandonato la vendita dei diritti soggettivi per abbracciare la legge Melandri, non può essere tenuto in scacco da una emittente che fattura poco più di 6 milioni di euro, non ha mai partecipato a un bando e ancora deve onorare due vecchi contratti con la Lega per la coppa Italia. Qualcosa non quadra in un sistema che al suo interno ha saputo valorizzare i diritti televisivi in modo tale da poterne ricavare un miliardo grazie al digitale terrestre (Mediaset Premium e Dahlia), alla tv in chiaro (Rai) e appunto al digitale satellitare (Sky).
In un incontro svoltosi a Palazzo Marino, Beretta ha anche invitato il Parlamento ad approvare in fretta la legge sugli stadi per permettere alle società di costruire impianti privati e punire severamente la contraffazione che penalizza la politica del merchandising. Ma com’è possibile che il calcio rischia di trovarsi in mezzo al guado? È possibile perché i bilanci della Serie A poggiano al 63% sulle entrate televisive. All’estero l’incidenza di questa voce è diversa: 55% in Francia, 47% in Inghilterra, appena il 32% in Germania dove la fetta più importante, pari al 45%, proviene da sponsorizzazioni e ricavi commerciali. Altrove lo stadio funge da volano al business, da noi è un mattone sullo stomaco. L’Inter incassa più del Bayern sui diritti tv (116 milioni a 70), ma non regge il confronto sul piano commerciale (53 milioni a 160). E quindi, o costruisce un nuovo impianto di proprietà o sarà sempre Moratti-dipendente.


Alla vigilia della partita che può riportare in Italia la Champions League, il calcio italiano s’interroga sul suo futuro nel disperato tentativo di allontanare i titoli di coda. Per una volta le colpe non appartengono tutte al suo mondo. Ma un anno senza pallone non è fantascienza.

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